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Siamo alla terza recessione italiana, ma abbiamo la faccia tosta di arrivarci in ordine sparso. Ognuno per conto suo, litigando pure. Venti Regioni, venti pannoloni. Anzi no, venti tamponi. La Repubblica autonoma delle Marche. Un Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che guarda tutti dall’alto in basso, ma non è mai riuscito a dire una parola di autocritica sul più potente focolaio europeo di Coronavirus sviluppatosi interamente nella sua regione. La peggiore informazione allarmistica possibile a ogni ora del giorno e della notte. Ci può salvare solo un black out televisivo, ma non lo hanno ancora inventato. Nel frattempo siamo diventati sorvegliati speciali in tutto il mondo. Sinceramente, peggio non si poteva fare. Siamo nudi a fare i conti con la nostra fragilità.
La frammentazione dei poteri ci ha già regalato per almeno due decenni consecutivi la paralisi degli investimenti pubblici e ha imposto la legge del più forte nella distribuzione della spesa pubblica. Per cui il ricco diventa sempre più ricco e il povero sempre più povero. Fino al punto che l’Europa proprio ieri lo ha messo per iscritto ancora una volta. Il problema italiano è uno solo e riguarda l’abolizione del Mezzogiorno dagli investimenti. Diciamo come stanno le cose: con i soldi pubblici con cui si dovevano fare i treni veloci nelle regioni meridionali, isole comprese, si è preferito fare assistenzialismo nelle regioni del Nord e si è raggiunto il capolavoro di fare delle due Italie gli unici territori europei che non hanno raggiunto i livelli pre-crisi del 2008.
La differenza tra Nord e Sud si misura con un divario di reddito pro capite che ci informa che il primo è pari al doppio del secondo. Anche se la nuova, moderna, “peste” manzoniana fa in modo che siano le aziende ortofrutticole pugliesi del Sud povero a salvare le dispense italiane perché gli ordini di frutta e verdura sono cresciuti esponenzialmente a causa degli scaffali presi d’assalto al Nord. Siamo al paradosso del paradosso. Lo abbiamo detto ieri, lo ripetiamo oggi. Al netto di un allarmismo e di un panico incorporati che possiedono come un demonio chi non è abituato a trovarsi sul banco degli imputati e rischia, quindi, di ripetere l’errore della sottovalutazione iniziale con quello della massima allerta.
Senza capire che la massima allerta comporta anche la capacità di uscire dal massimo di allerta e per fare questo hai bisogno di mettere ordine nello Stato e di avere una catena di comando che tutti condividono e rispettano. Ne avevamo bisogno prima. Non ne possiamo fare a meno oggi. Perché l’emergenza economica riguarda l’intero Paese e è legata agli errori storici di ieri e a quelli pesanti di oggi che attribuiscono al sistema Nord non poche responsabilità. L’Italia è una e la crisi del turismo, solo per fare un esempio, riguarda tutti. Questa terza recessione la stiamo fabbricando con le nostre mani. Prima che alla crisi strutturale delle nostre esportazioni si cumuli anche la (ulteriore) caduta dei consumi interni si abbia almeno la decenza di risparmiarci il teatrino delle sciocchezze quotidiane.
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