Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte tra i ministri Gualtieri e Di Maio
3 minuti per la letturaHA RAGIONE il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte: siamo in emergenza, serve una cura da cavallo per il Sistema Italia. Ci eravamo permessi da qualche settimana di sollecitarlo a convocare un “gabinetto di guerra” per affrontare il problema dei problemi italiano che è l’economia. Ci permettiamo oggi di ricordare a lui e al ministro Gualtieri che l’unica cosa che l’Italia e il suo governo non possono più consentirsi è continuare a avere gli occhi foderati di prosciutto e nascondersi dietro quelle politiche da galleggiamento che evitano il tracollo ma non ti permettono di correre. Non muori, ma non stai bene, anzi sei sempre più deboluccio, sempre più pallido.
Il grande malato d’Europa siamo noi italiani e lo siamo essenzialmente per colpe nostre. Una, prima di tutte: non vogliamo prendere atto che negli ultimi venti anni abbiamo abolito il Mezzogiorno da ogni serio progetto di spesa pubblica, abbiamo azzerato in una parte rilevante del Paese gli investimenti in infrastrutture di sviluppo e abbiamo trasferito sotto forma di assistenzialismo diffuso ai ricchi ciò che era stato indebitamente sottratto ai poveri.
Prima lo abbiamo fatto quasi senza accorgercene, poi in assoluta, consapevole, malafede perché le aree forti dell’economia italiana hanno ritenuto di scaricare i costi delle due Grandi Crisi Globali, la prima Finanziaria 2007/2009 la seconda Sovrana 2011/2012, sulla parte più bisognosa del Paese prelevando al bancomat dello Stato italiano tutto ciò che serviva per consentire a un Nord industriale sempre meno competitivo di preservare abitudini e tenore di vita scaricandone i conti sul bilancio pubblico italiano al costo di spezzare improvvidamente il cammino intrapreso nei decenni precedenti di unificazione infrastrutturale e industriale delle due Italie.
C’è un vizietto italiano che tronca sul nascere ogni speranza di uscire dal galleggiamento e questo vizietto appartiene al “Nord ladrone” e al suo partito di riferimento che è il nocciolo storico della Lega Nord che di quell’interesse è espressione e tutore. L’ennesima conferma si è avuta ieri in Parlamento quando la Lega è scappata a gambe levate pur di non votare la risoluzione dei suoi più stretti alleati, e cioè Fratelli d’Italia, fatta propria da tutti i partiti, che chiedeva di rivedere quei criteri bislacchi sull’utilizzo dei fondi di Coesione e sviluppo che favoriscono più il Nord che il Sud dell’Italia.
Poco importa ovviamente che tutto ciò faccia perdere alla comunità nazionale una parte significativa di risorse pubbliche europee. Poco importa che togliere i fondi dovuti per assicurare al Sud spesa sociale e infrastrutture di sviluppo significa mettere oggi le basi certe di un futuro di povertà del Nord. Poco importa che la riprova di quale sia il risultato di questo galleggiamento pro-ricchi viene dal fatto incontestabile che gli unici due territori europei che non hanno raggiunto i livelli pre-crisi sono proprio il Nord e il Sud dell’Italia. Poco importa perché tanto si può continuare a dire che è colpa dell’Europa. Non è così, ma l’oppio sovranista della demagogia del “Nord ladrone” lo fa credere. Se non si mettono a nudo questi giochetti le cure da cavallo si possono di certo invocare, ma mai realizzare.
Presidente Conte, faccia aprire i cantieri per realizzare in tempi certi l’alta velocità ferroviaria nell’Italia dimenticata e vada a testa alta in Europa a chiedere un bilancio europeo che mobiliti capitali e, soprattutto, li trasformi in investimenti produttivi. L’Italia è un Paese Fondatore e la sua economia non è quella della Grecia. Ha solo bisogno di liberarsi in fretta di quel parassita che è il Nord ladrone che vive di assistenzialismo e di connivenze con la criminalità organizzata e continua a infettare tutto. Il Nord produttivo la ringrazierà. Scoprirà da qui a qualche anno che non è più l’appendice meridionale della grande impresa tedesca in difficoltà, ma il capofila di un sistema industriale italiano che ha ritrovato la sua dimensione interna competitiva.
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