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Quel poco che si fa in questo Paese ottusamente diseguale succede quando c’è molta abbondanza di risorse – magari a debito e con la libertà di farne altro – e c’è dunque un extra che avanza da distribuire ai nuovi, a quelli che stanno sotto. La regola è sempre stata che non si può togliere nulla a quelli che stanno sopra. Per capirci, quel poco o tanto di riforme che si sono fatte, nei vari cicli dal dopoguerra a oggi, si sono realizzate sempre e solo, appunto, con l’extra che consente di non toccare chi prende già e deve continuare a prendere. Anche se non fa un uso eccellente di ciò che prende. Anche se ne fa un uso smaccatamente clientelare. Anche se gode di un privilegio tanto ingiusto quanto dannoso per lui e per gli altri. Voglio dire: non si è mai avuta la forza di fare le riforme togliendo a chi indebitamente riceve ciò che non merita per dare a chi merita e sul quale è opportuno investire.

Questa è stata l’Italia di ieri. Questa è l’Italia paralizzata di oggi con qualche aggravante in più. La prima delle quali è che non sappiamo nemmeno più godere dell’extra. Il Cavaliere bianco, Mario Draghi, salva l’euro e apre un ombrello monetario che copre tutto, ma offre ai Paesi europei più indebitati e con più problemi la possibilità di utilizzare l’ammortizzatore liquidità per fare le riforme e porre le basi per una crescita duratura che colmi le diseguaglianze territoriali? Insomma: ci regala l’extra, che non è più nuovo debito pubblico, ma bassi tassi di interesse e quindi la possibilità di spendere meno per pagare il debito vecchio, aiuta a ridurre il costo sociale delle riforme? La Spagna coglie al volo l’opportunità, fa le riforme strutturali più pesanti e investe nell’alta velocità ferroviaria partendo dal Sud al Nord unificando il Paese e allargandone il potenziale di crescita. Noi siamo capaci di fare a volte pochissimo e più spesso l’esatto contrario perché continuiamo a regalare prebende pubbliche assistenziali ai ricchi e decidiamo con l’orgoglio degli stolti che l’Italia degli investimenti pubblici si ferma a Firenze.

Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, deve capire una volta per tutte che nessuno gli impedirà di galleggiare tra un voto regionale e l’altro entrando e uscendo da un vertice di maggioranza, ma le macerie che travolgeranno questo Paese le caricheranno ingiustamente tutte su di lui perché l’ammortizzatore monetario sopravvissuto finirà. Anche l’epidemia cinese non aiuta. Primo, perché l’economia mondiale già soffre di focolai di incertezza a livello geopolitico e la capacità di reazione delle banche centrali è stressata. Oggi hanno meno munizioni in arsenale rispetto alle due Grandi crisi Finanziaria e Sovrana perché sono state utilizzate tutte le misure non convenzionali e si è raschiato il fondo del barile. Secondo, perché gli effetti dell’epidemia sono amplificati dal fatto che è nata all’interno del Paese che è il motore più importante dell’economia globale e se dovesse compromettere la sua capacità di slancio ne uscirebbe azzoppato uno dei grandi cilindri. Il Presidente del Consiglio italiano, Conte, e il ministro dell’Economia, Gualtieri, se non vogliono che cada sulla loro testa l’acquazzone che tutto travolge, chiamino a raccolta i capi delle aziende a controllo pubblico e ordinino di aprire i cantieri per l’alta velocità ferroviaria Napoli-Bari e Napoli-Reggio Calabria-Palermo e riaprano senza vergognarsi il dossier Mezzogiorno con l’obiettivo dichiarato di salvare l’Italia. Per una volta, spieghino a chi al Nord ha approfittato indecorosamente della spesa pubblica fino a oggi, che la pacchia è finita.


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