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Bisogna dirlo una volta per tutte. Non se ne può proprio più di sentire ripetere che quando gli altri crescono noi cresciamo meno e quando gli altri vanno male noi andiamo peggio e, quindi, qualcosa di strutturale ci deve essere. Poi si comincia con l’elenco: la burocrazia, la pressione fiscale, il problema della giustizia eterna, e così via domandandosi senza mai rispondere. Non vorremmo deludere nessuno e siamo certi che i tre elementi indicati delimitano i confini del ritardo competitivo italiano, ma dentro c’è il problema sistemico che solo la miopia degli analisti e l’incoscienza di chi ci governa impediscono di vedere. L’unico problema irrisolto che dà la risposta esaustiva a quell’affannarsi di domande retoriche e assorbe la questione strutturale italiana si chiama Mezzogiorno. Venti e passa milioni di persone che hanno un reddito pro capite pari a poco più della metà di quello del CentroNord.
Un primato negativo frutto di un’azione sistemica di estrazione di risorse dovute al Sud e regalate al Nord in materia di spesa sociale e, soprattutto, di infrastrutture di sviluppo. Si è dato sempre più ai ricchi e sempre meno ai poveri e lo si è fatto in modo così scientifico da sottrarre al Nord produttivo il suo principale mercato di “esportazioni” e fare sparire l’Italia dal novero delle grandi economie perché privata della taglia minima infrastrutturale e industriale.
Se l’Europa per i suoi egoismi franco tedeschi non ha né una Difesa europea né una politica estera comune, la farsa della Farnesina dimaiana ci consegna il primato dell’irrilevanza. Al galleggiamento in casa si aggiunge ora il galleggiamento fuori. Per portare l’Italia sott’acqua e non farla più risalire in superficie mi sembra che si sia scelta la strada giusta. Pretendiamo di potere ancora ragionare in un Paese in cui la demagogia non rende più attraenti certi lavori per cui se sei professore universitario sei fuori quota per fare politica e nessuno ricorda che Aldo Moro è stato sequestrato (e poi barbaramente ucciso) dalle Brigate Rosse mentre andava a fare lezione a La Sapienza.
Oggi è urgentissimo ricostruire o almeno ricomporre il Sistema Paese come pezzo rilevante, non accessorio o subalterno, di un Sistema-Europa. Bisogna investire subito in treni veloci, big data e intelligenza artificiale nelle regioni meridionali per riunificare sul piano infrastrutturale il Paese e combattere ovunque il dissesto idrogeologico. Si potrà così agire con società di capitale pubblico di mercato che garantiscono la stazza giusta per presidiare pezzi importanti di produzione, fare la rivoluzione digitale e innovare l’offerta turistica internazionale. Accanirsi a inseguire capitali privati che non ci sono e adottare la tecnica del rinvio ridurrà le piccole imprese del Nord a appendice meridionale del gigante tedesco affetto da fragilità senile.
Forse, l’Italia tutta può aspirare a qualcosa di più e di meglio. Ovviamente c’è almeno bisogno di un governo, un ministro e una struttura per realizzarlo. Il Progetto Paese non si fa parlando cinque minuti su Facebook.
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