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LA SVOLTA che servirebbe oggi all’Italia dovrebbe avere la tensione morale del primo centrosinistra che fece la scuola media unica e la nazionalizzazione elettrica, consolidò la scelta del piano casa e avviò la prima riforma urbanistica che fece di Fiorentino Sullo il bersaglio di tutti i conservatorismi, non solo quello dei cementieri. Servirebbero oggi quella stessa tensione morale, uno spirito di condivisione nazionale, il coraggio di porre mano al riequilibrio territoriale della spesa pubblica con una macchina amministrativa efficiente, e un solo tema strategico declinato a varie voci: fare crescere il Mezzogiorno per fare crescere l’Italia. Non c’è più nessuno che possa in buona fede sostenere che questa politica economica che regala ai ricchi e toglie ai poveri, che azzera al Sud la spesa sociale e gli investimenti in infrastrutture, che fa un treno a alta velocità ogni venti minuti tra Milano e Torino e zero assoluto da Napoli a Bari o da Napoli a Reggio Calabria/Palermo, non condanni l’Italia intera al declino.
Perché allora non succede nulla? Perché ci tocca di assistere allo spettacolo imbarazzante di un ministro del Mezzogiorno che parla di piani a lunga scadenza e ipotizza i primi interventi veri quando l’Italia rischia di essere già uscita dal novero dei Paesi industrializzati? Che neppure si vergogna di individuare come cassa quei presunti fondi comunitari che sono peraltro più a rischio che in passato perché è aumentata la quota di cofinanziamento nazionale da sempre preda del Nord?
La verità è che dietro il primo centrosinistra c’erano il moto profondo delle intelligenze del Paese e una politica rispettata. Oggi invece siamo alle prese con i “teologi” della nuova politica elevata a “scienza sacra”, gli affabulatori del nulla alla Paragone, re incontrastato del trasformismo, e con il salotto di questi dispensatori di balle atomiche, il famoso talk a reti pressoché unificate, che ha preso il posto della politica e dei luoghi della democrazia. All’epoca c’era la nuova élite dei Giugni, dei Saraceno, degli Ardigò, degli Andreatta, dei Manin Carabba, oggi ci sono facce esagitate che lanciano messaggi ricattatori ai loro compagni di merende del nulla, che rimestano nel torbido del loro armamentario demagogico vibrando il pugno sotto la lente del telefonino o della telecamera.
All’epoca esisteva una rete di riviste come Nord e Sud, Comunità, il Mulino, Aggiornamenti sociali, Tempi Moderni, Mondo Operaio, Rinascita. Per capirci c’erano i luoghi e le teste che svisceravano i problemi, si creava una comunità di intelligenze, il Paese andava avanti così. Beniamino Andreatta volle a Trento una scuola di sociologia per formare quelli che potevano progettare la politica del futuro. Ora assistiamo al teatrino penoso dei peggiori in tutti i sensi della politica, alle smorfie degli affabulatori alla Paragone che non vogliono fare i conti con la realtà delle loro predicazioni senza fondamento.
Mi vengono in mente le parole di Galileo, nella rappresentazione teatrale di Bertolt Brecht, rivolte ai Cardinali che lo stanno mettendo sotto inquisizione: “I teologi fanno suonare le loro campane, i fisici fanno suonare le loro risate”.
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