Gianluigi Paragone, Alfonso Bonafede e Luigi Di Maio
2 minuti per la letturaChe cosa importi agli italiani se Lorenzo Fioramonti ha versato o meno la sua quota di stipendio da parlamentare al movimento Cinque Stelle francamente me lo chiedo. Così come mi domando quali siano le colpe che devono espiare le donne e gli uomini di questo Paese per assistere all’inverecondo spettacolo del più trasformista dei suoi parlamentari, l’ex leghista e lottizzato Rai Gianluigi Paragone deferito ai probiviri del suo ultimo partito, che fa l’elenco e mette all’indice tutti i suoi compagni di banco a Montecitorio e a Palazzo Madama che si sono trattenuti la quota di indennità come Fioramonti.
Nessuno di tutti questi signori, a partire dal loro capo Luigi Di Maio che continua a occupare seggiole e poltrone, si rende conto che ha tradito nel modo più insulso il mandato ricevuto dagli elettori che sono in gran parte le donne e gli uomini del Mezzogiorno? Ma per quanto tempo li si vuole costringere ad assistere a questo balletto permanente di incompetenza e di dilettantismo? C’è qualcuno in grado di far comprendere ai Di Maio e ai Paragone – insieme, a braccetto o in lotta tra di loro – che hanno stufato? Che non se ne può più del loro fare strame di ogni regola togliendo reputazione all’Italia tutte le volte che aprono bocca? Ma veramente si può ritenere che il più estemporaneo dei ministri della compagine Cinque Stelle, appunto il Fioramonti, diventi improvvisamente uno statista perché è coerente con la battaglia giusta di chiedere più risorse pubbliche per scuola e ricerca senza avere rinunciato né lui né gli altri nemmeno a un centesimo dei fondi per quel reddito di cittadinanza di cui ogni giorno si scoprono artifizi, truffe e abusi? Vuoi vedere che si sono convinti per davvero di avere abolito la povertà dai balconi mentre hanno solo coperto di ridicolo le istituzioni che rappresentano in forza di un mandato elettorale generoso non a caso vaporizzato? Si fermino, per cortesia.
Dovrebbero fare una statua al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che si è caricato sulle spalle la più dilettantesca delle compagini ministeriali mai conosciuta dalla Repubblica italiana e impegnarsi sul terreno della crescita mettendo al centro gli investimenti in infrastrutture di sviluppo nel Mezzogiorno. Farebbero due cose buone: si ricorderebbero di chi li ha votati e, soprattutto, salverebbero l’Italia. La mangiatoia di trasferimenti pubblici indebiti alle Regioni del Nord, a partire dal carrozzone dei carrozzoni piemontese-valdostano, che anche oggi documentiamo, mette a nudo la miopia di un Paese (tutto) che si è piegato alle logiche dell’assistenzialismo e perfino della criminalità economica organizzata. L’Europa non sa come aiutare se stessa e non ci potrà dare una mano, il governo Conte due riparta dalla frontiera della perequazione infrastrutturale. I Cinque Stelle di governo e di microfono si mettano a studiare e facciano bene i compiti che affiderà in materia il Capo del governo. Facciano tutto in silenzio e spariscano per un po’ dallo schermo. Per sopravvivere loro (e noi) non esiste altra strada.
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