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I tagli e il diamante di Unicredit, la frenata della Brianza e le chiacchiere in libertà sul Mes
Povera Italia! L’ineffabile Jean Pierre Mustier, Ceo di Unicredit, e lo stuolo di plaudenti consiglieri italiani possono prendere il meglio della banca, le sue attività internazionali, e conferirlo in una subholding senza che nessuno dica niente. Possono un giorno conferire questo diamante rimesso a lucido in Société Générale facendo una fusione e diventandone azionista ma di fatto riducendo il diamante della seconda banca italiana a pezzo forte di una banca quotata a Parigi. Lo scenario potrebbe accadere anche con Commerzbank al posto di Société Générale e, in quel caso, il diamante lo avremmo regalato ai tedeschi.
L’importante è che non sia più italiano. Quello che ho raccontato fin qui è di là da venire, ma si sono poste le basi perché ciò avvenga. Quello che, invece, da ieri è già sul tavolo è che la scure dei tagli, 500 filiali e 8mila dipendenti, si abbatterà in larghissima parte in casa nostra dove tutto è diventato una grande filiale Italia da tosare come una pecora. Per essere chiari: siamo consapevoli che i tassi radono il suolo, i ricavi non si muovono, e tagliare i costi è un tema; siamo altresì consapevoli che i tagli si fanno dove c’è la ciccia e questa è ovviamente in Italia, non so nemmeno se ci sono 500 filiali tra Germania e Austria. Detto tutto questo se si voleva dare qualche conferma in più di quale fosse la direzione di marcia della banca adesso possiamo dire con tranquillità che è stata data.
Ci eravamo permessi alcuni mesi fa di segnalare che il Nord era diventato piccolo. Ci aveva colpito che nelle prime dieci aziende del distretto simbolo del Made in Italy, Monza-Brianza, insieme con un paio di aziende del commercio al dettaglio spopolano filiali italiane di colossi tedeschi, francesi, svizzeri, cinesi. Soprattutto, si coglieva al volo la fragilità d’insieme di un sistema di micro-imprese con fatturati e quote di export molto frammentati, i sopravvissuti alla Grande Crisi fatturano poco e dipendono quasi in toto dal Nord Europa.
LEGGI IL DETTAGLIO DELLA FRENATA NEL DISTRETTO DI MONZA-BRIANZA
Abbiamo perso tutte le grandi imprese del capitalismo familiare italiano ma la rete diffusa di piccole e medie paga la miopia di avere assecondato lo scippo sistemico di risorse pubbliche del Nord a spese del Sud arrivando a dimezzare il reddito pro capite dei cittadini meridionali e privando i prodotti del Made in Italy formato tascabile del suo primo “mercato di esportazioni” che coincide con il mercato di consumo interno delle regioni meridionali.
La verità (amara) è che nessun Paese al mondo può vivere solo di esportazione e che i maestrini dell’integrazione tra Nord Italia e Nord Europa e del teorema “il Mezzogiorno seguirà”, hanno sbagliato tutto. L’unica integrazione produttiva possibile è quella tra Nord e Sud Italia per potere competere con più forza nell’arena globale, insomma un sistema produttivo unitario inserito nel contesto europeo e internazionale. Il processo di trasformazione che deve affrontare l’Italia può avere successo solo se coinvolge l’Intero Paese in ogni suo angolo. L’Europa con un nocciolo duro dello sviluppo tra Bologna e Stoccarda, saltando la Brianza e molte aree della provincia lombarda, non ce la fa. L’Italia semplicemente sparisce, si sgretola. Ammettiamo: prima toccherà al Sud, ma poi arriverà il turno del Nord. Perché nessun Paese al mondo può dire la sua se non raggiunge una sufficiente dimensione nazionale. Per questo, siamo ormai certi che si potrà ripartire solo se le forze produttive e le intelligenze sopravvissute del Nord condivideranno la doppia operazione verità condotta da questo giornale. La prima: decine di miliardi l’anno per almeno un decennio indebitamente sottratte alle infrastrutture di sviluppo del Sud per fare assistenzialismo al Nord. La seconda: un prelievo sistemico di gran parte delle risorse pubbliche di coesione destinate alle popolazioni meridionali per fare fronte alle misure di stabilizzazione (austerità) di tutto il Paese, resesi necessarie soprattutto prima e dopo la Grande Crisi, e per sostenere i costi della cassa integrazione delle imprese del Nord.
Per evitare di dovere fare ricorso al Fondo Salva Stati e tornare credibili in modo da avere ciò che servirebbe davvero a noi e all’Europa, dovremmo smetterla di parlare di Mes e giocare a tutto campo per fare capire ai Paesi del Nord che solo un Fondo per il rimborso del debito europeo può fare il bene di ricchi e poveri del Vecchio Continente. Prima, però, noi in Italia dobbiamo tornare a ragionare e operare come sistema Paese, il punto numero uno è la perequazione infrastrutturale. L’autonomia ha un senso solo e esclusivamente se garantisce in misura cospicua investimenti pubblici di sviluppo nei territori meridionali derubati e abbandonati. Per evitare di presentarci con il cappello in mano davanti alla Troika, smettiamola di comportarci da pagliacci in Parlamento e fuori. Questa è la strada maestra per tutelare l’interesse nazionale e i risparmiatori italiani, servono visione industriale e capacità operativa. La propaganda, viceversa, serve solo a coprire colpe (nostre) del passato e a sostituire egoismi con nuovi egoismi. Prepara il grande spezzatino italiano: un pezzo alla Francia, un altro alla Germania, resa senza condizioni alle mani rapaci cinesi e russe grondanti di “democrazia” e di Stato. Si compie il capolavoro sovranista. La colonizzazione del Nord e la deriva pauperista del Sud. C’è così tanto rumore che potrebbe succedere senza che nemmeno ce ne accorgiamo.
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