L'intervento del presidente Conte in Senato
4 minuti per la letturaLo spettacolo offerto ieri dal nostro Parlamento, in questa folle crisi di Ferragosto, è stato semplicemente orrendo e dice molto più della marginalità italiana di quanto già comprovano tabelle e numeri comparativi certi. Fanalino di coda nella crescita europea, unico Paese a non avere recuperato i livelli pre-crisi, reputazione sui mercati ai minimi storici schiacciati e umiliati perfino da portoghesi e spagnoli.
A Palazzo Madama ci sono i tuoi che applaudono i tuoi, ovviamente sul nulla. Dai banchi del Pd si alza un rumore fastidioso che è l’unico modo possibile per rianimare una destra salviniana alle prese con il primo errore grave di tattica politica del suo leader campione mondiale di paure e sentimenti di pancia delle persone. Il rumore riesce a oscurare le fragilità di Salvini, il guscio vuoto delle idee e la pericolosità delle parole mai così nitidi. Piccoli grandi capolavori.Politica-politichese, Papeete Beach, slogan, il solito alibi europeo.
Ignorato praticamente il contesto globale, con il suo carico minaccioso di nubi sulle economie avanzate, scontato giochetto sempre in politichese del tipo perché Conte non ha detto prima di Salvini quello che dice oggi. Schermaglie da copione teatrale di rango minore. È incredibilmente toccato all’attore di maggiore qualità della politica italiana, Matteo Renzi, che ha attinto da sempre a piene mani anche lui al linguaggio populista magari in forme più eleganti, ricordare la recessione tedesca che bussa alle porte dell’Italia.
Un discorso da aspirante statista, nei contenuti e nelle modalità espressive, è quello tenuto dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Durezza estrema nei confronti di Salvini al quale non è stato risparmiato nulla dentro una cornice larga che delimita perfidamente la sua distanza dalla cultura della regola che diventa sostanza. Autoritarismo, appello sistemico alla piazza, calcoli elettorali personali e irresponsabilità istituzionale, uso improprio delle simbologie religiose, pericolosa ambiguità europea. Qualcosa che produce danni (gravi), fa male e, soprattutto – questo il vero messaggio consegnato da Conte ai parlamentari e a chi è a casa – tutto ciò è lontanissimo dalla cifra istituzionale e saldamente ancorata alla collocazione europea e transatlantica dell’Italia che invece appartiene a lui.
Qui c’è il primo segno fisico della sua candidatura a guidare un nuovo governo che esprima altre sensibilità politiche. Il secondo segno fisico è nell’indicazione di un programma da realizzare che ha come stella polare la crescita e si sintetizza in un piano di rinascita nazionale che parta dagli investimenti nel Sud (sorvoliamo sulla difesa dei risultati raggiunti che sono invece tutt’altro che esaltanti) ancoraggio forte in Europa e scommessa strategica sul Mediterraneo. Sono due segni fisici basici per aprire, dunque, in una fase ancora embrionale, la strada a un Conte bis.
Fuori tono e fuori misura la replica di Salvini che si è difeso oggettivamente male. Ha fatto retorica anti Europa e anti immigrazione. Ha fatto propaganda con il bersaglio scelto (abusato) di Merkel e Macron. Si è impossessato del “cuore immacolato di Maria” come francamente nemmeno Moro e Andreotti sono riusciti a fare. E, dopo tutti gli insulti non solo a suo dire ricevuti e puntigliosamente elencati, si tiene anche le porte aperte che lui stesso ha chiuso in faccia a Conte e Di Maio.
Persiste, insomma, l’improvviso stato di confusione da colpo di sole. Alla fine l’unico punto fermo della giornata è la crisi di governo messa nelle mani sicure di Mattarella. Tutto può ancora succedere. All’Italia non serve un governo comunque. Serve un governo che faccia quello che deve fare. Tuteli la finanza pubblica in casa, ci salvaguardi in Europa e nella Bce. Delocalizzi gli investimenti dal Nord al Sud, metta le infrastrutture di sviluppo nelle regioni meridionali al centro della politica economica nazionale, chiuda il capitolo miserabile dell’autonomia differenziata e abolisca le Regioni, concluda l’operazione verità sulla ripartizione della spesa pubblica tra Nord e Sud.
È un lavoro improbo, lo abbiamo detto ieri lo ripetiamo oggi, che richiede il coraggio del trentino De Gasperi nel concepire e perseguire con successo la coerenza meridionalista. O quello di un banchiere centrale come Draghi che con tre parole (whatever it takes, sarà fatto tutto ciò che è necessario) e in assoluta solitudine salva l’euro, di conseguenza l’Europa e l’Italia.
Nei mari procellosi che la piccola nave italiana deve solcare nei nostri porti e in quelli globali della nuova bolla americana, di una Cina acciaccata e guerriera contro i titoli di stato statunitensi, la recessione tedesca prossima ventura e la speranza piena di incognite sui Paesi emergenti, le due Italie divise e lacerate, c’è bisogno di una mano ferma sul timone che eviti al barcone italiano di finire rovinosamente sugli scogli. Dobbiamo ripartire dal Sud e dal Mediterraneo e dobbiamo volerlo.
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