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Una corsia d'ospedale

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Nel nostro Paese la sanità è molto diseguale sotto il profilo territoriale. Vi sono aree dove funziona abbastanza bene, altre dove funziona piuttosto male e aree dove è prossima al collasso. Questa situazione è il portato della «regionalizzazione» del sistema e della connessa politicizzazione. Bisogna andare al 1978 per comprendere l’infelice commistione tra sanità e politica. La politica entra troppo nella sanità e non sempre a proposito.

Nella gestione di un qualunque servizio pubblico, bisogna saper distinguere il momento politico dal momento tecnico. E invece qui, complice anche il fatto che le Regioni hanno potere legislativo, questa distinzione non c’è o per lo meno non è così netta e chiara come dovrebbe essere. In un servizio che si vuole pubblico, la politica deve occuparsi essenzialmente della qualità delle prestazioni da rendere ai cittadini, delle modalità con cui debbono essere rese e del modo di finanziarle.

Una volta definiti gli aspetti generali e strutturali, una volta cioè poste le «coordinate», la politica deve uscire di scena e deve controllare che tutto si svolga secondo le regole. Tocca alla tecnica organizzare al meglio il servizio su tutto il territorio nazionale, prevenire ed evitare ogni possibile abuso e far si che – dato il livello delle prestazioni – esso costi il meno possibile.

Nel nostro Paese, occorre porre uno «stop» alla regionalizzazione del servizio sanitario. Il servizio sanitario non può che essere nazionale; non può che essere organizzato su basi nazionali. E l’interlocutore politico del soggetto che rende il servizio non può che essere lo Stato. Non è tollerabile la frantumazione del servizio sanitario in una ventina di servizi regionali.

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