Palazzo delle Finanze, sede del ministero dell'Economia
4 minuti per la letturaNella Pubblica Amministrazione, il debito cresce quando le entrate d’esercizio sono inferiori alle uscite per spese; si contrae nel caso opposto, quando le entrate sono superiori alle uscite.
Una gestione equilibrata sul piano economico finanziario non significa una gestione senza debito, ma una gestione in cui il debito è variabile nel tempo, in cui si avvicendano periodi in cui vi è debito e periodi in cui esso è del tutto assente.
Del resto l’economia, per sua natura, non ha un andamento lineare ed uniforme e, a differenza del bilancio, non è scandito da periodi annuali. Ci sono fasi in cui l’economia ha bisogno di essere sostenuta con sgravi fiscali o con aumenti di spesa e allora si ricorre all’indebitamento ripromettendosi di estinguerlo nel giro di qualche anno, quando la politica che ha condotto al disavanzo di bilancio ha dato i suoi frutti. Se pensiamo al debito pubblico italiano ci rendiamo subito conto che esso fuori dalla fisiologia. Con la sua abnorme dimensione, pari a 3 volte le entrate annuali, è ben difficile rientrare mediante la consueta eccedenza delle entrate sulle uscite annuali.
Ma procediamo con ordine.
Il nostro debito pubblico può essere eliminato o riportato nei limiti fisiologici (che stimo in 200 300 miliardi) essenzialmente attraverso due strade:
- a) con il risparmio pubblico ossia con l’eccedenza delle entrate annuali sulle uscite annuali;
- b) con operazioni straordinarie: vendita di beni pubblici; una tantum a carico dei cittadini, un’imposta di scopo della durata di alcuni anni, ecc..
Escludo una «patrimoniale» in senso stretto perché nel nostro Paese manca un Catasto, ovvero un comparto aggiornato del patrimonio personale o familiare, sicché essa non può essere applicata con la dovuta equità. Si può pensare ad una tantum su alcuni beni ma non ad una «patrimoniale» vera e propria.
La strada a) non mi sembra realistica per varie ragioni. Intanto siamo lontani dal pareggio di bilancio. Facciamo fatica a mantenere il disavanzo nei limiti del 3%. Dovremmo eliminare questo disavanzo e trasformarlo in avanzo. A me pare estremamente difficile, in presenza dell’irrefrenabile tendenza che abbiamo ad impegnare le risorse ancor prima che esse si formino. In astratto la strada è possibile, in concreto non la vedo percorribile. Ci vorrebbe un miracolo o qualcosa di simile: si pensi che solo per dimezzare il debito occorrerebbe un avanzo di 50 miliardi l’anno per ben 25 anni! È vero che oggi abbiamo gli interessi sul debito che vanno via via riducendosi man mano che procediamo al rimborso. Ma prima di cominciare ad intaccare gli interessi ci vorrà del tempo. E poi durerà ancora, e quanto l’attuale livello di bassi tassi d’interesse?
Resta la strada b). E qui dobbiamo subito dire che lo Stato ha ormai ben poco da vendere. Potrebbe vendere gli immobili sede degli uffici pubblici; ma poi dovrebbe riprenderli in affitto e questo accrescerebbe il volume della spesa. Potrebbe fare altre «operazioni finanziarie» che però si rivelano costose e ad alto rischio. Quindi è meglio non intervenire. Resta allora il ricorso al risparmio privato, che è abbondante e largamente superiore al debito pubblico (5 6 volte, a seconda dei criteri di computo). È una strada percorribile, ma bisogna percorrerla con cautela ed equilibrio perché i nostri connazionali difficilmente accettano una tale misura. A mio parere se ben attuata è una misura giustificabile anche sul piano etico perché ha diverse ragioni a sostegno. Ne cito una soltanto che mi sembra la più importante.
Il nostro sistema fiscale è basato, piaccia o no, sulla progressività. È la Costituzione che ce lo dice a chiare lettere. Chi non ricorda le vecchie aliquote della imposta complementare che arrivavano al 72% per reddito di 500 milioni e oltre? Negli anni si è persa traccia della progressività. Le varie forme di “ritenute secche” che cosa sono se non un vero e proprio calcio alla progressività? A partire più o meno dagli anni ’80, la progressività si è di fatto fortemente attenuata. Se avessimo avuto un sistema fiscale veramente progressivo non avremmo probabilmente questo mostruoso debito pubblico.
Per carità, non si tratta di evasione! Tutto è avvenuto nel rispetto (formale) delle leggi; certo di leggi malfatte che non hanno rispettato il dettato costituzionale. Se si segue la strada indicata, occorre preparare adeguatamente il terreno. Occorre spiegare, spiegare e ancora spiegare. E poi bisogna concepire norme (cosa possibile) che creino il minor disagio alle persone. Ad esempio un’imposta come quella qui delineata può essere pagata (con le dovute garanzie), anche in più rate e secondo un piano predisposto dallo stesso soggetto percosso dall’imposta.
Lo Stato insomma deve mostrare un volto umano sia nel concepire la legge sia nell’applicarla. Non vedo realistiche alternative a questo percorso. Nulla naturalmente ci impedisce di lasciare le cose come stanno, di rimanere inoperosi, di trascinarci mettendo una toppa qua e là. Dobbiamo sapere, però, che rischiamo molto non solo e non tanto con l’Europa quanto con i mercati finanziari. In tal caso la situazione non è nelle nostre mani, dipende da altri.
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