Erika Stefani
4 minuti per la letturaIl Paese reale ha provato a rialzare la testa. A Reggio Calabria, cinquant’anni dopo. Prima si sfilava per le classi operaie ora per le classi precarie. Sono i giovani più informati e istruiti del nostro Mezzogiorno, il capitale umano dell’Italia regalato al mondo, a causa della miopia predona di una classe politica padana e della connivenza miserabile della classe politica meridionale.
La prima si è impossessata delle chiavi della cassaforte pubblica italiana e ha saccheggiato il Mezzogiorno fino a svuotarlo; la seconda ha acconsentito, accomodandosi al tavolo della vergogna, per raccoglierne litigiosamente le briciole. Amano l’Europa e le loro terre, questi ragazzi, ma sono stanchi e arrabbiati. Perché sanno, ad esempio, che a Cosenza c’è la capitale dell’intelligenza artificiale, ma manca il treno a alta velocità che la colleghi al mondo. L’ambiente infrastrutturale gioca contro, fa il vuoto intorno.
Qualcuno ha voluto (al Nord) e altri hanno consentito (al Sud) che, con i soldi di tutti noi, tra Milano e Torino questi treni superveloci abbiano la regolarità di una linea di autobus metropolitano e che, invece, da Salerno in giù fino alla punta dello Stivale o da Napoli a Bari per non parlare della Sicilia, si presentino con un numero inequivoco: zero assoluto. Di fronte a questa infamia ferroviaria, voluta e attuata da soggetti economici a capitale interamente pubblico e non quotati, la manifestazione unitaria di Cgil, Cisl e Uil è stata, per una volta, all’altezza della lezione dei Di Vittorio e dei Pastore e della coerenza meridionalista del trentino De Gasperi e, cioè, della stagione d’oro del miracolo economico italiano che ha unito non diviso le due Italie.
Questa piazza calabrese ha urlato il suo NO all’autonomia differenziata, atto finale estremo (e non più recuperabile) di una lunga stagione di scippi attuata con destrezza dalla “banda del buco” del Grande Partito del Nord che ha sottratto decine e decine di miliardi l’anno agli investimenti necessari per fare sviluppo al Sud e li ha generosamente regalati al Nord per fare assistenzialismo.
Nel Paese del vaniloquio di oggi il sindacato ha dimostrato di essere classe dirigente e ha urlato il suo NO a spaccare il Paese che vuol dire abbandonare il Sud alla deriva e condannare il Nord a essere colonizzato da francesi, tedeschi e cinesi.
Speriamo che la ministra del Mezzogiorno, Barbara Lezzi, sia coerente nei comportamenti con quanto detto al nostro giornale (ancora di più il governo nel suo insieme) sui contenuti documentali delle inchieste-denuncia del Quotidiano del Sud e su quanto improvvidamente dichiarato, addirittura in una sede parlamentare, dalla ministra Erika Stefani, in materia di spesa pubblica regionalizzata.
LEGGI L’INTERVISTA AL MINISTRO PER IL MEZZOGIORNO BARBARA LEZZI
Riproduco, di seguito, l’intero passaggio: “Sì assolutamente, serve un’operazione verità. Non si possono far passare numeri che riguardano solo le amministrazioni centrali e sono pari a poco più di un quarto del totale come dei numeri dell’intera spesa pubblica. Fare chiarezza, dire come stanno le cose per davvero è preliminare a tutto. Io ora mi aspetto che nella richiesta di autonomia ci sia un impegno vincolante prima di tutto ai giusti trasferimenti, in modo che poi possa prendere vita l’autonomia concreta. E ricordiamo che questa preintesa deve passare dal Parlamento, nella forma che decideranno i presidenti dei due rami del Parlamento”.
Bene, chi scrive è fermamente contrario all’autonomia differenziata e ritiene che si debbano piuttosto sbaraccare i carrozzoni delle Regioni e uscire in fretta dalla logica perversa dei venti staterelli in lotta, peraltro, tra di loro. Questo giornale ha scoperchiato la pentola delle bugie e il ministro Lezzi ci ha ringraziato, ne siamo contenti. Adesso, però, si pone una questione istituzionale che neppure la bolla mediatica da eccesso di bullismo sovranista in cui si è auto-condannato il Paese fino a farsi (quasi) commissariare, può consentire alla ministra Stefani di aggirare, è chiaro ormai a tutti che non può rimanere un solo secondo in più nel suo incarico.
Ha fatto il gioco delle tre carte in Parlamento, ha spacciato dati reali ma dolosamente incompleti e ha, quindi, capovolto totalmente la verità. Ha detto consapevolmente il falso. Deve andare a casa. Questo accadrebbe in un Paese serio. Non lo siamo, d’accordo. Ma nulla ci impedisce di diventarlo. Potremmo accettare la permanenza della Stefani solo se si presentasse in Consiglio dei ministri per annunciare il ritiro della proposta di autonomia differenziata e informare che andrà a chiedere scusa in Parlamento perché ha detto il falso e si è pentita. Forse, le stiamo dando troppa importanza, ma per recuperare un po’ di decenza da qualche parte bisogna cominciare.
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