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Paolo Pombeni parla senza peli sulla lingua di questione democrazia (LEGGI L’ARTICOLO DI POMBENI). Quando Facebook, sua sponte, chiude 23 pagine con due milioni e 460mila seguaci perché sono fake news la metà dei messaggi pilotati da siti satelliti di Lega e Cinque Stelle, è il succo del ragionamento, vuol dire che con le armi moderne della rete si riesce a fare meglio di Achille Lauro con i pacchi di pasta e le “scarpe spaiate”.

Il voto non lo si conquista con i mezzucci clientelari (una scarpa prima del voto e una dopo) di ‘O Comandante’, ma molto più semplicemente imbottendo gli elettori di falsità, di notizie non vere, per cui decidi con la tua testa senza neppure sapere che stai decidendo con la testa truffaldina di un altro.

Alberto Negri (LEGGI) ci avvisa che sarebbe un grave errore pensare che il fenomeno riguarda solo i social network e parla espressamente di Capitalismo della Sorveglianza con la formula magica di trasformare i clienti in fonti di dati e, con questi dati, di indirizzare le nostre scelte fino a modificare i comportamenti degli individui e di intere popolazioni.

Google ha fatto scuola, ma oggi la Ford si prepara con l’elettronica e l’interattività a guadagnare una fortuna proprio con quei dati estirpati dalla nostra vita. Al di là dei cinesi e degli americani, la democrazia con cui siamo cresciuti, parola di Alberto Negri, è assolutamente in pericolo. Quello che vi raccontiamo oggi, però, non è una fake news, ma un fatto. È solo l’ultimo episodio di una serie di scippi che, nel silenzio di tutti, le regioni forti fanno alle regioni deboli mettendo sul conto del bilancio pubblico nazionale il frutto della refurtiva. Questa è la nuova questione democratica italiana.

Sono usciti i bandi dei concorsi per i dirigenti amministrativi delle scuole pubbliche: alla regione Puglia sono assegnati incarichi pari a poco più di un terzo del Friuli Venezia Giulia e, addirittura, di un ottavo di Emilia Romagna e Piemonte che hanno una popolazione pressoché analoga a quella pugliese. Perfino un quindicesimo della più popolosa Lombardia.

Dal marchingegno della spesa storica a quello dei criteri inventati di volta in volta su misura delle esigenze del più forte. Prescindono sempre dalla geografia e dalla realtà, ma ignorano spesso anche l’organizzazione storica che può essere ovviamente cambiata (in alcuni casi di sicuro) a patto, però, che ci si ricordi di fornire almeno il minimo necessario di risorse disponibili. Questa storia del ricco che diventa sempre più ricco, non con capitali propri ma con quelli della collettività, e del povero condannato a essere sempre più povero e vilipeso dal ricco, come già detto, è la nuova questione democratica italiana.

Non ci venga nessuno a dire che i dipendenti pubblici al Sud sono troppi perché ogni 100 abitanti sono 4,9 nel Nord Est e 4,5 nel Mezzogiorno (isole comprese, dentro per capirci c’è anche la Sicilia) mentre Roma, che fa storia a sé perché è la Capitale con ministeri e ambasciate, tocca quota 5 (dati censimento Istat, 2016). La media nazionale è 4,6, quindi il Nord Est è nettamente sopra e il Mezzogiorno sotto.

Questa è la realtà.

Nessuno se ne era probabilmente accorto fino in fondo, ma la continua estrazione (indebita) di risorse pubbliche da parte di Regioni e di Comuni del Nord per cui non si spende un euro pubblico per gli asili nido a Casoria o a Andria ma se si nasce in Brianza si ha a disposizione 3mila euro annui pro capite della collettività, è oggi un tema non più eludibile perché riguarda tanti (troppi) capitoli di spesa e è interesse di tutti un’operazione-verità che consenta di redistribuire più equamente le poche risorse disponibili.

Questo fiume di denaro pubblico dirottato ingiustificatamente dal Sud al Nord da anni e anni con mille espedienti che violano le regole fondanti della Costituzione e, addirittura, quelle federali del ministro leghista Calderoli in materia di scuola, sanità e trasporti, ha portato in dote alle regioni più forti assistenzialismo, decadenza della grande impresa a rango di contoterzisti, poltronifici lombardi diffusi e, in alcuni casi, addirittura una permeabilità alle infiltrazioni criminali e alla moltiplicazione vertiginosa dei loro volumi di affari a spese del bilancio pubblico italiano e, cioè, dell’intera collettività. Una vergogna assoluta. Per cui se non si vuole superare la soglia tollerabile di provocazione elettorale, si inviti con fermezza la ministra degli Affari Regionali e delle Autonomie, Erika Stefani, a smetterla di diffondere dati falsi (la spesa, cioè, delle sole amministrazioni centrali escludendo Regioni, Province, Comuni, enti pubblici, previdenza, e così via) e si accantoni per sempre il progetto dell’autonomia differenziata.

Si pensi piuttosto a sbaraccare le regioni o, perlomeno, a ricostruire una regia centrale unica che consenta di affrontare in modo non assistenziale il vero problema della mancata crescita italiana e, cioè, il suo dualismo non solo irrisolto, ma addirittura consapevolmente aggravato dagli scippi irresponsabili operati da una classe dirigente del Nord (non solo politica) che non può dare lezioni di etica a nessuno e ha davvero molto di cui giustificarsi. La nuova questione democratica italiana è questa. Il Mezzogiorno deve dimostrarsi all’altezza di questa sfida, deve cambiare in profondità il suo ceto dirigente, e investire con forza nel suo capitale di ricerca e di talento (domani ve ne daremo conto con nomi e cognomi) giovanile e non, volutamente oscurato secondo il più miope degli interessi, deve potere contare su una dote giusta di infrastrutture e recidere brutalmente i legami corruttivi. Prima, però, tutti si ricordino di affrontare non a parole la nuova questione democratica italiana. Il tentativo del Nord di mettere al sicuro per sempre la cassa indebitamente sottratta al Sud, abolendo di fatto la nazione anche sul piano istituzionale, ha fatto aprire gli occhi a tanti. Prima di richiuderli, questa volta, si dovranno fare i conti con la democrazia. Si sconsigliano vivamente azzardi pericolosi.


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