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Un treno freccia bianca

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Non avremmo mai creduto che Gianfranco Battisti potesse mettere su un foglio di carta l’impegno di investire nel Mezzogiorno 16 miliardi di euro su 42 per infrastrutture ferroviarie e stradali, all’interno del piano industriale di Ferrovie dello Stato 2019-2023.

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La partecipazione del premier, Giuseppe Conte, e dei ministri del Tesoro, Giovanni Tria, e dei Trasporti, Danilo Toninelli, alla presentazione del piano, ricorda stagioni di un passato molto lontano di questo Paese dove uomini di governo del calibro di Campilli e Pastore, la lungimiranza del trentino De Gasperi, le intuizioni del siculo-valtellinese Saraceno e le capacità realizzative dell’irpino Pescatore, hanno fatto sì che la scelta del Mezzogiorno come priorità della politica economica, la cosiddetta coerenza meridionalista, si traducesse in atti concreti.

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Bene, nessuno si monti la testa e tutti tengano la guardia molto alta. Questo giornale ha chiesto, in assoluta solitudine, al vertice delle Ferrovie italiane un’inversione a 360 gradi nel suo disegno di interventi industriali sul territorio.

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Si è rivolto alle forze politiche che detengono attraverso il Tesoro il controllo totale delle Ferrovie perché esercitassero i poteri di vigilanza in quanto di quelle scelte sono corresponsabili a tutto tondo.

Per queste ragioni, esprime oggi soddisfazione per l’indicazione di destinare al Mezzogiorno il 38% degli investimenti ferroviari e stradali, un numero che è vicinissimo alla quota Pescatore degli anni d’oro della Prima Cassa che costruì dighe e acquedotti, unì le due Italie con le strade, finanziò la grande impresa e una miriade di piccole imprese. Contribuì, insomma, in modo decisivo all’unificazione economica del Paese. 

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Attenzione, però, le soddisfazioni si fermano qui, cautele e vigilanza assoluta sono d’obbligo. Intanto, come premessa, ci piace ripetere quello che abbiamo sentito dire ieri più volte da un uomo di Stato di lungo corso: per recuperare trent’anni di buco questo è davvero il minimo da parte di una classe politica miope che ha sistematicamente rimosso dall’Italia un pezzo di Paese con una orografia rognosa. Il minimo, soprattutto, perché il piano è coperto con fondi propri (quindi certi) per il 24% e un altro paio di miliardi sono garantiti da green bond, il resto (cioè la grandissima parte delle coperture finanziarie) è in una zona grigia dove i primi attori sono le Regioni e i contratti di programma.

Ebbene qui, proprio qui, il rischio concreto di continuare a rimuovere il Mezzogiorno rispettando la regola trentennale di oscurantismo è molto più di una mera probabilità. Se vogliamo che la Napoli-Bari a alta velocità e alta capacità ferroviaria o la Palermo-Catania-Messina, per non parlare dell’alta velocità fino a Reggio Calabria, diventino realtà in un tempo giusto, non ci resta che urlare a gran voce di sbaraccare le Regioni e i loro sistemi corruttivi mobilitati intorno a tanti carrozzoni clientelari.

Siamo di fronte a una rete di potere dove di fatto il più forte mangia il più debole e, senza accorgersene, pone le premesse perché nel lungo termine il debole muoia e il forte si scopra improvvisamente debole.

Se non si sbaraccano le Regioni o se perlomeno non si recupera in fretta una regia centrale con poteri decisionali certi e riconoscibili, in questo come in altri piani industriali delle Ferrovie, per capirci, Brennero, Brescia, Verona, Padova, arriveranno sempre prima di Napoli, Bari, Salerno, Reggio Calabria. Quando, poi, alla prima nuova crisi globale o autoindotta da nostre dissennatezze, le risorse torneranno a comprimersi, allora i piani di investimento programmati per il Nord rallenteranno, e quelli previsti per il Sud spariranno anche dai titoli sui fogli di carta.

Negli anni d’oro del miracolo economico italiano, uomini come Pescatore rispettavano al secondo i cronoprogramma di spesa e raccoglievano anche fondi sul mercato internazionale. Campilli e Pastore ai loro tempi non avrebbero, del resto, consentito distrazioni. C’erano un comune sentire e una graduatoria condivisa nel governo e, a volte, anche fuori, di quelle che erano le priorità.

Che è l’esatto contrario dello spettacolo offerto oggi quotidianamente dalla politica, a partire da quella di governo ormai contrapposta su tutto. Ancora una volta speriamo fortemente di essere smentiti, ma nel frattempo avvisiamo Battisti& C. che il tempo delle recitazioni e dei foglietti di carta bianca elettorali, è finito per sempre. Se non fosse così, oltre lo storico danno, ci sarebbe la nuova, indigeribile beffa. Troppo.


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