Bandiere dell'Europa e dell'Italia
5 minuti per la letturaRicordo una telefonata di Carlo Azeglio Ciampi di molto tempo fa, cito a mente: direttore, questa Europa la stanno maltrattando, o non se ne parla o la si attacca, e poi li guarda i tg? “Sì, perché?” Risposta secca: “È tutta colpa nostra, a sentire i tg, siamo noi ad avere costruito questa gabbia, non è vero, fa male”.
Passa qualche tempo e richiama: “Mi è venuta un’idea, ma perché non facciamo noi, io lei e l’ambasciatore Puri Purini, un dialogo a tre voci, scriviamo un libricino con una bella lettera ai nostri giovani, proviamo a parlare direttamente con loro, prima al cuore poi alla testa”.
Era fatto così Ciampi, capiva che il sogno europeo si stava consumando, e lui come sempre, come ogni volta che la crisi mordeva e toccava i portafogli e lo spirito degli italiani, lui voleva parlare al loro cuore, spiegare che dopo ogni caduta ci si rialza, dimostrare con i fatti a chi soffre che non è solo. Questo era l’uomo, che per me viene prima del governatore della Banca d’Italia, del presidente del Consiglio, del Capo di Stato, del servitore integerrimo della cosa pubblica. Perché il bello di Ciampi è che poteva anche sbagliare, ma aveva la qualità rara di riconoscerlo e di chiedere scusa.
Ho pensato a lui quando ho deciso di aprire il giornale di oggi con la lettera sull’Europa che mi ha scritto Maria Giovanna Rullo, laureata in relazioni internazionali all’Università della Calabria, capitale europea per la Logica deduttiva dell’intelligenza artificiale, sì avete capito bene, proprio lì in fondo allo Stivale, dove verranno a lezioni di futuro scolaresche di Oxford, Vienna e dei più rinomati college americani.
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Mi è venuto in mente esattamente quando ho letto questo passaggio della lettera di Maria Giovanna: “Da Ventotene a oggi l’Europa è sempre stata una speranza per tutti. La speranza di pace per Altiero Spinelli, la speranza di un mondo migliore per noi giovani Erasmus. Noi, generazione di ragazzi che parliamo lingue differenti ma comunichiamo con lo stesso linguaggio. Noi ragazzi con origini diverse ma uniti tutti da una stessa cultura. Noi ragazzi europei che sogniamo gli Stati Uniti d’Europa ma contestualmente lavoriamo concretamente all’unione politica di questo continente. Perché crediamo che uniti si possano affrontare le più grandi problematiche mondiali e che l’Europa se ne possa fare carico più di ogni altra entità politica e giuridica. Perché l’Europa è il Vecchio Continente e i vecchi per definizione sono saggi”.
Sono convinto che a Ciampi questa lettera (leggetela) sarebbe piaciuta proprio. Chi scrive pensa che solo una sovranità monetaria condivisa (l’euro) può tutelare davvero le sovranità nazionali e è consapevole che il giochetto di scaricare sull’Europa le nostre colpe mostri ormai la corda. Se siamo dei contributori netti come Paese è solo perché non abbiamo selezionato correttamente la nostra classe dirigente europea e siamo come macchina burocratico-amministrativa ancora più complicati delle complicatissime burocrazie europee. Se l’Europa ci sembra matrigna, che toglie invece di dare, lo è molto perché per ogni incentivo europeo, che utilizziamo poco e male, c’è sempre una quota di cofinanziamento nazionale che scatena puntualmente appetiti nordisti quasi sempre smaccatamente elettorali e blocca tutto. Dobbiamo prendere atto che se si vogliono staccare assegni pubblici di impronta nettamente corporativa per soddisfare di volta in volta produttori di latte a torto e a ragione o obbligazionisti che si sono portati a casa cedole del 5% ogni dodici mesi negli anni della deflazione con i tassi sotto zero, questo è quasi sempre avvenuto a spese del Sud privandolo di quella quota di finanziamento necessaria per fare decollare gli investimenti pubblici produttivi utilizzando la leva comunitaria.
Questa è la verità, e bisogna che si cominci a dirla. Così come va detto, e lo ripetiamo da giorni, che è assolutamente scandaloso che, con il giochetto delle tre carte della spesa storica, si dia al Nord quel 6% di trasferimenti pubblici in più che si sottrae indebitamente a Regioni e Comuni meridionali in materia di asili nido, scuola, sanità, trasporti. Con la logica del ricco che è sempre più ricco, e del povero che è sempre più povero ci ritroviamo con un Sud che si allarga di giorno in giorno e “annette” nel declino (sia chiaro) regioni del Centro come Marche e Umbria, oltre all’Abruzzo. Il Paese è sempre più diseguale e distante al suo interno, e si condanna così a crescite (se tutto va bene) da prefisso telefonico.
Per questo ha proprio ragione Maria Giovanna, che ci dà a tutti una lezione di democrazia, ma soprattutto ci invita a capire che il player globale italiano si chiama Europa ed è qui (non altrove) che dobbiamo vincere la battaglia del bilancio comunitario europeo, cambiare l’agenda politica mettendo al centro gli investimenti e la cultura virtuosa della finanza pubblica, magari rinunciando per gli anni a venire a eccessi di austerità tanto ottusi quanto paralizzanti sul piano della fiducia. Mandiamoci, per una volta, i migliori in Europa. Scopriremo che la nostra cassa è lì, non in casa e che tocca a noi capire che l’Italia (non l’Europa) può tornare a crescere davvero solo se decide finalmente di scommettere sul Mezzogiorno e sul suo straordinario capitale umano giovanile. Dopo vent’anni di errori, distrazioni e scippi nordisti è proprio un atto dovuto. Ancora una volta dipende da noi non dall’Europa. Chissà se la grancassa ipocritamente sovranista ha voglia di ascoltare la voce appassionata di Maria Giovanna.
Dubitiamo, ma non perdiamo la speranza.
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