La sede della Regione Lombardia
3 minuti per la letturaLo avevamo chiamato poltronificio lombardo, ma non osavamo immaginare che il burattinaio di seggiole e poltrone agli amici degli amici, in società partecipate con più consiglieri di amministrazione che impiegati, potesse essere addirittura in cabina di regia con imprenditori della ’ndrangheta in un coacervo di malaffare dove il sistema Platì diventa il sistema Milano.
A quali abissi terribili ci ha condotto un regionalismo predone dove i ricchi, a partire da lombardi e veneti, continuano a sottrarre ai poveri flussi di spesa pubblica dovuti per decine di miliardi con il giochetto della spesa storica!
OPERAZIONE VERITA’: LO SCIPPO AL SUD SULLA SPESA PUBBLICA
Tolgono asili nido, mense scolastiche, pulmini e treni a alta velocità alle famiglie e alle imprese meridionali per dirottare quelle stesse somme in un imbuto gigantesco di clientele assistenziali e ora, perfino, di malaffare in combutta con la ’ndrangheta. Che, come racconta il nostro Anastasi (LEGGI IL SERVIZIO), sembra dare ordini a questa cabina di regia politico-imprenditoriale varesotto-meneghina preservata intatta (anzi affinata nelle distorsioni criminali) dai tempi di Mani Pulite.
Altro che autonomia differenziata, sbaraccare le Regioni e recuperare una visione di insieme come Paese in termini di interesse nazionale e di investimenti produttivi è oggi la priorità assoluta. Balliamo sull’orlo di una crisi finanziaria e assistiamo allo spettacolo di un governo bicefalo su tutto, che ha impiegato circa tre settimane per dire una parola chiara anche se sempre contrapposta sul caso del sottosegretario leghista Siri.
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Si continua a versare benzina sulla polveriera di un’economia che in pochissimi mesi è stata declassata a fanalino di coda europeo per tutto, crescita, andamento dell’occupazione, investimenti. Un disastro assoluto frutto di un vaniloquio sui temi europei che ha messo in ginocchio la nostra credibilità sui mercati e di scelte di politica economica, dal reddito di cittadinanza alla quota 100 per le pensioni, che hanno bruciato in un calderone assistenziale le energie positive del Paese.
Hanno minato la fiducia degli investitori e hanno finito con l’aggravare quelle stesse diseguaglianze che si volevano giustamente ridurre. Si è invece continuato con la politica sottobanco dei favori agli interessi corporativi dei ricchi e a sottovalutare, in modo preoccupante, che non esiste alcuna possibilità di crescita robusta del Paese se non si torna a rimettere al centro della politica economica il suo Mezzogiorno dopo decenni di disattenzione e di sottrazione indebita di risorse pubbliche.
La risposta non può essere il nuovo assistenzialismo soprattutto se barattato con quello infinitamente più cospicuo destinato alle famiglie e alle imprese delle Regioni ricche che si sono talmente abituate a questa droga da ridurre di sovente la locomotiva lombarda dell’economia italiana a vagoni di contoterzisti e di subfornitori più o meno di qualità e a ridotte tout court affaristico-criminali.
Non è questa l’Italia che ci piace e, soprattutto, non è questa l’Italia che può ripartire e dire la sua a testa alta in Europa. Il lavoro dei nostri giovani viene prima della campagna elettorale. Ci sono da 35 a 40 miliardi da trovare entro l’autunno, si smetta di propinare bufale a getto continuo, si torni con i piedi per terra e ci si misuri con la difficoltà reale di fare ripartire la macchina produttiva. Lega e Cinque Stelle se hanno a cuore questo Paese depongano le armi, riaprano i cantieri e, per una volta, decidano insieme di cominciare dal Sud. Se non hanno questa volontà, lascino perdere, i loro giochetti hanno stufato. Non si può scherzare all’infinito con il fuoco, ci siamo già scottati abbastanza.
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