5 minuti per la lettura
Non vogliamo dire che l’impresa privata lombarda sia diventata la filiale italiana dei colossi franco-tedeschi, se non addirittura cinesi. Siamo impressionati dal fatto che a scorrere l’elenco delle prime sei aziende per fatturato del distretto simbolo della manifattura italiana, Monza e Brianza, a parte Esprinet di Vimercate, che fa commercio all’ingrosso, le altre cinque sono succursali di gruppi francesi (tre), tedeschi e cinesi (uno a testa).
SCOPRI TUTTI GLI EDITORIALI DEL DIRETTORE ROBERTO NAPOLETANO
Francamente non ce lo aspettavamo. Dove si sono nascosti i nostri capitani di industria meneghini con la puzza sotto il naso?
Sono, forse, scappati a dare qualche lezioncina di mercato e di etica nel talk show quotidiano delle fake news, più o meno a reti unificate?
Si sono nascosti dietro le quinte dei corridoi romani della politica decaduta e dei “sindacati di categoria” (i loro) foraggiati dai contributi dell’industria a controllo pubblico, per sbraitare con la pancia piena al primo incentivo che salta o a barattare l’ultima (inutile) elemosina, prima del week end in barca o in montagna? Sia chiaro: a me non interessa neppure più di tanto il passaporto delle imprese, a me interessa che creino lavoro qui e facciano ricerca qui, ritengo importante che il nostro territorio continui a attrarre capitali.
Sia chiaro: so bene che, dal farmaceutico al biomedicale, così come nella meccanica di precisione e strumentale e in altro ancora, in Lombardia ci siamo e giochiamo la nostra partita in casa e fuori. Ho piena consapevolezza che l’unica voce all’attivo di questo Paese superindebitato, con due vicepremier belligeranti (Di Maio e Salvini) che camminano come orbi vocianti in bilico sul filo della crisi finanziaria, è proprio quella della bilancia commerciale. So bene che essa è il frutto generoso di un popolo di medie, piccole e piccolissime imprese, dalla moda all’arredo-design fino all’agro-alimentare, che lavorano sodo e battono il mondo, di mercato in mercato, con dinamismo commerciale e intuito industriale.
Il punto è un altro. Quella tabella di Assolombarda con la quale abbiamo deciso di aprire il giornale ci dice un’altra cosa: la grande ricerca, la grande innovazione, di marca italiana, non abita più a Milano e dintorni. Perlomeno, non ci abita più come una volta. La Montedison, che si inventa le vaschette di plastica della Moplen, con Giulio Natta e la scuola universitaria milanese, e cambia la storia industriale e sociale dell’Italia e dell’Occidente avanzato, è francese da quel dì. Si è ridotta a una cosa piccolissima, nemmeno paragonabile con il suo grande passato. Non ci sono più i Falk, i Pesenti hanno abdicato ai tedeschi, potremmo continuare all’infinito, ma non ha molto senso.
Quello che emerge è un’antropologica incapacità ad assumersi il rischio in grande dei nostri piccoli e medi padroni del vapore o, forse, più precisamente, si delinea un bivio con la storia che riguarda l’impresa lombarda ma appartiene alla (irrisolta) questione industriale italiana e al suo dualismo territoriale.
Il bivio è il seguente. Riusciranno a raccogliere le energie vitali, avranno la volontà di rischiare con i propri soldi (l’unica cosa che oggi non manca è la liquidità a buon mercato) per tornare a ragionare finalmente in grande, scommettere sulla ricerca di base e sulla innovazione di prodotto non solo di processo e, cioè, macchine che sostituiscono uomini, o si avviano a diventare un popolo di volta in volta lamentoso o altezzoso di contoterzisti e subfornitori, più o meno di lusso?
Perderanno il vizio di fare lobbing per continuare a saccheggiare il bilancio pubblico italiano sottraendo al Sud ciò che gli spetta non in termini di assistenza o di clientela, ma di asili nido, scuole e infrastrutture finalizzate allo sviluppo? E con quei soldi scippati continuare a sistemare gli amici degli amici nel poltronificio lombardo delle partecipate o erogare sussidi assistenziali alle loro aziende litigiose e sottocapitalizzate?
Recupereranno un bel giorno, in una di quelle albe milanesi piene di luce sempre più frequenti, un’idea di Paese che assomigli, almeno alla lontana, a quella del Kohl che impone il cambio alla pari e unisce le due Germanie? Ogni recita, tra mille ipocrisie e il solito ditino alzato, prima fa sorridere, poi suscita scherno o clamorose risate. Alla lunga, stanca. Prendano un pulmino e vadano tutti in gita a Alba per capire dai Ferrero come si difende con dignità nel mondo la storia industriale italiana di player mondiali, come si fa grande ricerca, come si assumono rischi finanziari.
Insomma, come vorremmo che facesse impresa quella che ancora è la locomotiva lombarda del treno italiano che non può ridursi a una filiale contoterzi franco-tedesca-cinese e che ha il dovere di dare metodo e organizzazione al talento dei nostri artigiani del Made in Italy che devono uscire dalle beghe familiari e aprirsi alla moderna democrazia economica delle public company.
A ben pensarci, questi signorotti milanesi più o meno decaduti, che non hanno nulla a che spartire con la vivacità culturale, la buona amministrazione e la bellezza civile della Milano che amo, forse farebbero bene con lo stesso pulmino con cui sono andati a Alba a scendere un po’ più giù, molto più in giù, fino alla punta dello Stivale, per arrivare tra le colline di Arcavacata di Rende, alle porte di Cosenza, e restarci per tre settimane frequentando insieme ai giovani studenti dei migliori college americani, di Oxford e di Vienna, i corsi di intelligenza artificiale deduttiva del professore Nicola Leone.
Il lungo viaggio farà toccare loro con mano quanto è ingiustamente diseguale e, al suo interno, distante l’Italia delle strade e, soprattutto, delle ferrovie (anche per colpa dell’egoismo dei nostri padroni del vapore). Quando entreranno in aula incontreranno il nuovo Giulio Natta italiano che è il primo al mondo nella capacità di programmare il cervello di un robot e può regalare ai nostri capitani di impresa lombardi l’applicazione tecnologica di cui le loro industrie hanno vitale bisogno.
Chissà perché Nicola Leone insegna a Cosenza e non a Milano. Chissà perché hanno scelto l’Università della Calabria come capitale europea della Logica in Intelligenza artificiale. Buona domenica a tutti.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA