L’ appello lanciato ieri dal direttore del Quotidiano del Sud, rieccheggia il ben noto FATE PRESTO del 2011, e a ragione. C’è da preoccuparsi? Sì, e molto. Non pare proprio che questa sia la preoccupazione dei due compagni di avventura belligeranti (Di Maio e Salvini) che continuano la loro partita elettorale lasciando di fatto il Paese senza guida in un momento delicatissimo.
LEGGI L’EDITORIALE DI IERI DEL DIRETTORE NAPOLETANO “CONTE METTA IN RIGA I DUE COMPAGNI DI AVVENTURA
Mutuando dalla devastante potenza della natura, l’ allarme riguarda il montare delle altrettanto devastanti onde della crisi finanziaria che occorre sventare, placare con un rapido, credibile cambiamento di rotta. Siamo invece avviati come orbi in fila indiana sul pericoloso percorso segnato dalla non-strategia propinata con cinica o -forse- incosciente ingenuità per mesi (e, in passato, per anni) da pulpiti autorevoli con esercizi più o meno volgari e/o eleganti di distrazione di massa. E’ bene che questa “altra voce dell’ Italia” tenga ora fede al suo impegno e gridi forte il pericolo che incombe e proponga un confronto di idee sulle mosse utili a far cambiare direzione a questo Paese smarrito.
L’ operazione verità che sta emergendo su queste colonne, documenta il nesso drammaticamente estrattivo, implosivo e vizioso che da oltre venti anni lega e trascina Nord e Sud.
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SUI 61 MILIARDI SOTTRATTI OGNI ANNO AL SUD
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Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
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È fondamentale continuare l’ analisi e prenderne atto puntando a realizzare quella transizione attesa da oltre dieci anni verso un autentico federalismo cooperativo che se ben realizzato, grazie allo svluppo, farebbe sempre meno appello alla solidarietà e sempre meglio corrisponderebbe a corrette aspirazioni di autonomia. Occorre su quella base mettere a fuoco, senza retorica con fredda razionale capacità di analisi il “che fare” iniziado da alcuni precisi criteri che indicano scelte necessarie anche dolorose ma indispensabili. Scelte che debbono anzitutto partire dall’ operatore pubblico chiamato rigorosamente a rispettare le leggi (in tal senso è decisivo il rispetto dal 2017 della ripristinata quota -il 34%- di investimenti della spesa pubblica in conto capitale, aggiuntiva rispetto alle risorse UE per la coesione) e a definire criteri e fabbisogni in sede centrale per sanita, trasporti scuola che rispettino i diritti di cittadinanza di ognuno dalle Alpi alla Sicilia. Paradossalmete si tratta di rispettare un vincolo che risponde al criterio di efficienza ed efficacia utile a impegnare le risorse dove il loro impatto è più rilevante: di gran lunga il Sud. E finalizzandoli ad una strategia che è l ‘ unica praticabile da un Sistema Italia che voglia passare dalla rincorsa di una crescita improbabile e stentata a una nuova stagione di sviluppo: di nuovo il Sud. Fondamentalmente il tema -lo diciamo da anni- è di abbandonare l’ illusione che a noi -seconda manifattura d’ Europa, brllantissima per capacità esportativa anche in questi trementdi anni di crisi- basti “riprendere a crescere”. L’ esperienza ha certificato che così non è neanche per il Nord nonostante la performance dell’ export. Da anni, le graduatorie dell’ Eurostat confermano che alla pragressiva divaricazione del Sud ne corrisponde una che rende significativamente sempre meno splendide le nostre “locomotive”.
Se vogliamo finalmente leggere insieme questi segnali essi dicono che occorre con sempre più urgenza mettere in campo un progetto credibile e sensato di sviluppo, favoriti in questo dalla possibilità di mettere a reddito la incredibilmente mai sfruttata rendita Mediterranea che la dinamica dell’ economia globale ci offre (inutilmente) da anni su un piatto d’ argento. Abbiamo già perso troppe occasioi per non affrettarci ad organizzare una realistica strategia di recupero abbandonado il nostro tratto distintivo: l’ inerzia. Incredibilmente, invece, abbiamo salutato con soddisfatto ottimismo la breve ripresa già pressocchè tramontata, chiudendo gli occhi sul suo vero messaggio che fa prevedere un ritorno del PIL ai livelli del 2007 tra 4-6 anni al Nord-locomotiva e tra 10 anni nell’ esausto Sud.
Una prospettiva socialemte insostenibile e -ce ne sono abbondanti indizi- con forti rischi per la tenuta delle Istituzionei. Da questa difficoltà di analisi e di diagnosi muove l’ insofferenza di chi pretende con il “regionalismo a geometria variabile” di veder la luce in fondo al tunnel dela PROPRIA crisi e liberarsi del compagno di viaggio Mezzogiorno, abbandonato in questa U.E complicata e per certi versi spietata.
Il decreto Mezzogiorno del Febbraio 2017 oltre alla previsione della “clausola del 34%” dà -dopo anni di attesa- il via libera per istituire 12 zone economiche speciali (Zes) legate a porti e retroporti con l’ obiettivo di creare condizioni attrattive tali da avviare una reindustrializzare e di sperimentare modelli di estrema semplificazione burocratica. Il che già indica una complementarità strategica tra la clausola del 34% e la promozione di questi nuovi operatori, potenziali alfieri di una strategia euro mediterranea.
Il Mediterraneo -la potenzialità della enorme rendita posizionale da mettere a valore- è la nostra risorsa strategica. Il Mare Nostrum nell’ ecnomia globale non è periferia bensì un centro di cruciale rilevanza. Finora nessun decisore -ammesso che abbia in mente un progetto- ha avuto l’ ardire di farlo pur essendo chiaro che al Paese non basta più cullarsi nello splendore in cui vive il made in Italy. E’ un fatto del quale prendere atto che impone l’ esigenza di attivare un potente “secondo motore”, il Sud, per riprendere a navigare e non andare alla deriva nell’ economia globale.
In questa prospettiva Nord e Sud debbono incontrarsi e lo Stato, non più semplice arbitro, deve esserne un autorevole regista.