Di Maio, Conte e Salvini
4 minuti per la letturaIl Paese dei due compagni di avventura (molto) belligeranti resta in bilico sul filo della crisi finanziaria, tra scandali veri e presunti.
Se la crescita consolida il più 0,1% del primo trimestre dell’anno e i tassi stanno ancora così bassi, grazie alla regia lungimirante della Banca Centrale Europea, la crisi finanziaria non ci sarà.
Se la crescita continua a flettere, il mare di liquidità a buon mercato non servirà a salvarci e, a quel punto, la crisi finanziaria è sicura. Esattamente come è certo che il vaniloquio estivo dei nostri governanti belligeranti, oggi purtroppo addirittura più di allora in campagna elettorale, farà pagare a tutti noi ben 17 miliardi di tassi di interesse in più cumulati, nel triennio 2020/2022, rispetto ai livelli di quest’anno. Per essere precisi, 2 nel primo anno, 5,7 nel secondo, 9,7 nel terzo, toccando così quota 73,7 miliardi contro gli attuali 63,9. Tutto ciò, semplicemente per onorare le cedole dei titoli da noi collocati sul mercato in crisi di credibilità.
Questo giornale ha a cuore che l’Italia imbocchi, senza tentennamenti, la strada della crescita, non ha alcun interesse a una sterile contrapposizione tra Nord e Sud, ma ha voluto compiere un’operazione verità sui conti pubblici proprio nell’interesse del Paese intero. Per quanto riguarda asili nido, mense scolastiche, trasporti e assistenza sanitaria non ci possono essere cittadini di serie A e cittadini di serie B. Appare miope se non proprio autolesionista, che si sottragga al povero (il Sud) il 6% rispetto alla sua popolazione e lo si regali al ricco (il Nord) attraverso il giochetto della spesa storica.
Per cui, inevitabilmente il ricco diventerà sempre più ricco e il povero sempre più povero. È in gioco qualcosa che vale la bellezza di 61 miliardi e siamo contenti che il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, abbia messo nero su bianco al nostro giornale che se ne dovrà tenere conto in sede di autonomia differenziata. L’obiettivo, dal quale non defletteremo mai, è quello di una più corretta distribuzione delle poche risorse che ci sono.
Oggi, però, ci preme compiere un’altra operazione verità e, ancora una volta, ci rivolgiamo al Presidente del Consiglio, Conte, perché metta in riga con fermezza i due compagni di avventura che lo affiancano nella guida del Governo e li convinca a placare le ansie da campagna elettorale. Faccia capire a Salvini che il Salva-Roma non costa un euro in più allo Stato perché si riprende il debito ma anche il contributo che dà alla gestione commissariale. Faccia capire a Di Maio che non recupererà voti alzando la voce e dando la sensazione continua di abbaiare alla luna, perché poi quello che chiede non avviene mai e lui resta lì. Spieghi a entrambi che l’Italia viene prima di tutto, che il lavoro non si fabbrica con i sondaggi del bravissimo Pagnoncelli, e che il rischio della crisi finanziaria non è affatto sparito per uno 0,1% di crescita in un trimestre. Si faccia chiarezza senza sconti e senza il solito fango di maniera sul caso Siri e sulle intercettazioni ambientali che riguardano la Raggi, ma si capisca una volta per tutte che, prima di ogni altra cosa, viene la nomina dei commissari per sbloccare le 30 opere messe nel decreto sblocca-cantieri e che, ancora prima, viene la fame di investimenti produttivi e di infrastrutture finalizzate allo sviluppo delle regioni meridionali. Questa (non altre) è la grande questione italiana di oggi.
Sì, avete capito bene, si appalesa proprio lì, anche se non ve lo dice nessuno, dove il reddito delle persone si dimezza e dove il combinato disposto dell’irresponsabilità della classe dirigente nazionale e dell’inefficienza delle classi dirigenti meridionali, hanno in un ambiente infrastrutturale degradato il terreno naturale di coltura delle peggiori opacità. Qui si intrecciano corruzione e criminalità organizzata e si riduce il margine di manovra delle forze sane e delle risorse civili, a partire dallo straordinario capitale dei giovani, che sono di gran lunga più forti e diffuse di quello che si pensi. Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, li aveva avvertiti tutti per tempo, è ancora lì, ha le idee ben chiare, e i firmatari del contratto di governo farebbero bene a fargli fare oggi quello che lui voleva fare dall’inizio: prima gli investimenti e gli aiuti ai poveri veri, poi l’assistenza; prima il lavoro ai giovani, poi le mance elettorali.
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