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Volete sapere dove finisce una parte dei 61,5 miliardi sottratti a malati, medici, bambini e nonni, maestre d’asilo e docenti universitari del Mezzogiorno? Volete sapere a che cosa serve da qualche anno in qua lo scippo che il Sud subisce, in termini di spesa del settore pubblico allargato rispetto alla popolazione, a favore delle regioni settentrionali?
Tenetevi ben saldi, sulla sedia, con le mani strette sui braccioli perché la scoperta è da brividi: i soldi pubblici per fare gli asili nido a Vibo Valentia o a Benevento, magari non ci sono, ma quelli per tenere in vita i poltronifici lombardo e friulano delle partecipate degli enti locali dove il numero dei consiglieri di amministrazione è spesso superiore a quello dei dipendenti e sono tutti politici trombati e loro familiari, amici e amici degli amici, ci sono eccome. L’asilo nido o la mensa scolastica per i ragazzi del Sud no, la prebenda a questa numerosa famigliola con i soldi pubblici, cioè nostri, quella sì, per di più in società in buona parte indebitate che continuano a produrre perdite e fabbricare debito.
Ricordate la differenza tra la spesa del soggetto Stato da solo, le amministrazioni centrali, e il Settore Pubblico Allargato che comprende oltre ai ministeri, regioni, province, comuni, partecipate, comunità, previdenza-assistenza, poste, ferrovie e così via? Ricordate il gioco delle tre carte di cui vi abbiamo parlato nei giorni scorsi per cui con il trucchetto della spesa storica si dà strutturalmente di più ai ricchi e sempre di meno ai poveri?
Bene, c’è di più: perché come documentiamo a fianco e alle pagine 2 e 3, sono dati della Corte dei Conti, il poltronifico dei trombati e amici loro delle partecipate degli enti locali costa decine di miliardi l’anno, riguarda 5.766 Società di cui il 58,51% è collocato nel Nord, il 20,64% al Centro, 14,46% (Sud), 6,27% (le isole), 0,1% all’estero. Questo magna-magna doveva essere ridotto da 5.766 a 1000 società, lettera d’intenti firmata dall’ex ministro per la Semplificazione, Marianna Madia, dove si parlava esplicitamente di esigenze di trasparenza delle partecipate, di obiettivi di redditività, di blocco delle assunzioni.
Per carità, se ne sono ben guardati tutti, ma è il Nord a fare smaccatamente la parte del leone e, grazie al criterio fotocopia della cosiddetta “spesa storica” che ormai va bene per tutto, si esibisce alla grande con nuove clientele e nuovo debito. La Lombardia svetta su tutte le regioni italiane con 26,5 miliardi di debiti su 104 di totale, tale padre tale figlio. Il poltronificio delle partecipate lombarde (dove ci sono ovviamente eccellenze assolute che non vanno confuse con questi andazzi) marcia a pieno regime e promette di fare felice la nuova maggioranza di governo con altre assunzioni e relativi proclami. Peccato che si tratti solo di nuove clientele, di nuovo debito, e di nuova spesa pubblica allargata sottratta, peraltro, ai diritti di cittadinanza delle donne e degli uomini meridionali.
Che sono, poi, gli stessi diritti violati con mano ancora più pesante nei programmi di opere pubbliche e di cantieri mai aperti come documenta, da par suo, Antonio Troise, abolendo di fatto il Mezzogiorno con scelte di miopia assoluta in termini di competitività, di sviluppo e di nuovo lavoro, per il Paese intero. Fino a quando questi “uomini di cartapesta”, come ci ricorda Fabrizio Galimberti, che sanno solo dispensare illusioni e bruciare futuro nella fornace dello spread, vorranno abusare della nostra pazienza? Smettano di comprare tempo e facciano l’operazione verità di cui il Paese ha bisogno non più differibile perché si è messo da solo in recessione e il mondo gira male. Lo facciano, riconoscano il problema, e agiscano di conseguenza. Lo facciano per loro e, prima ancora, per i nostri giovani. Soprattutto, lo facciano.
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