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Il Mezzogiorno non è la palla al piede dell’Italia. Solo una grande miopia potrebbe far pensare il contrario. Salvo qualche eccezione lo Stato – per avere rilievo internazionale – deve avere, tra l’altro, un proprio adeguato territorio con una popolazione altrettanto adeguata. L’Italia è un Paese di circa 307.000 Km2 e di 60.000.000 di abitanti e tale deve restare se vuol conservare il ruolo che, negli anni, è venuta assumendo.
L’acre odore di sbriciolamento della nostra unità nazionale che sempre più spesso avvertiamo, è un grave errore: sia detto senza retorica e senza nostalgia per un passato a tratti glorioso. La spinta alla disarticolazione che viene da alcune regioni, ne è un vistoso esempio. Solo la miopia può spiegare perché quelle 3-4 regioni italiane più sviluppate spingono per avere una maggiore autonomia. Questa autonomia, di cui non sempre sono chiari i contenuti e i confini, farebbe certo male all’Italia ma, alla lunga, farebbe più male a loro stesse.
Al massimo certe regioni potrebbero veder aumentare per qualche tempo il loro benessere materiale. Ma poi? quale ruolo esse potrebbero avere in un mondo, come l’attuale, che privilegia sempre più la grande dimensione. Quando penso alla rapidità e alla lungimiranza con cui, dopo i fatti del 1989, fu realizzata la riunificazione della Germania resto ammirato di fronte al senso politico della classe dirigente tedesca, in particolare della Germania dell’ovest. Questi argomenti non si possono discutere solo in termini di benessere materiale, in una prospettiva di breve periodo e in una visione angusta ed egoista.
È il momento di ripensare il nostro ordinamento regionale. Aveva ragione da vendere Ugo La Malfa quando tentò di contrastare in ogni modo l’istituzione delle regioni. A distanza di circa 50 anni bisogna prendere atto che, quella regionale, fu una riforma sbagliata e dobbiamo tornarci sopra. Basti vedere lo stato penoso della nostra sanità e le gravi ingiustizie che vi si consumano proprio in ragione della residenza degli utenti.
Nonostante alcuni dicano che la nostra sanità sia tra le migliori del mondo, la realtà è ben diversa: è aumentato il divario tra aree del Paese. Al nord la situazione può essere ritenuta nel complesso buona; al Sud è semplicemente disastrosa. Si voleva fare un Sistema sanitario nazionale e questo era certamente un bene. Ma si è finito per fare una ventina di Sistemi sanitari regionali, alcuni dei quali sono praticamente alla paralisi.
Non nego, certo, che in alcuni settori della Pubblica Amministrazione la presenza delle regioni possa aver snellito la macchina burocratica e possa aver semplificato la vita dei cittadini. Se è così, cerchiamo di conservare questi vantaggi senza pagare per essi un prezzo esagerato (quale sarebbe il mantenimento delle regioni) ma semplicemente pagando un prezzo equo (ricorrendo ad altri strumenti, alternativi alle Regioni, per conservare quei vantaggi).
Dobbiamo contrastare con decisione tutte le spinte anti unitarie. È un principio che va affermato con forza perché sia fatto proprio da tutti i cittadini.
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