INDICE DEI CONTENUTI
Sono più bassi del 28% i salari al Sud: tenendo conto dei prezzi, il gap nel reddito disponibile pro capite passa da circa il 35% nominale al 17% in termini reali
Un Paese spaccato a metà anche sotto il profilo delle retribuzioni. In un quadro macroeconomico caratterizzato da crescita economica anemica e inflazione, la questione salariale resta sempre al centro del dibattito pubblico e della riflessione economica. E restano oggetto di analisi le divergenze tra il Nord il Sud dell’Italia. Lo scarto di reddito tra lavoratori con lo stesso impiego tra Centro-Nord e Sud, ci dice la Banca d’Italia, è in media di circa il 9%. E’ questo il dato probabilmente più interessante relativo alle differenze geografiche: se infatti è vero che, considerando tutti i salari, la differenza è del 28%, gran parte del distacco è dovuto al fatto che nelle regioni settentrionali sono più diffusi i lavori ben retribuiti a differenza del Sud.
In pratica, le differenze esistono e non dipendendo solo dai contratti locali ma anche dal fatto che nel Mezzogiorno scarseggiano le grandi imprese rispetto alle aree del Nord, ci sono meno impieghi qualificati, la disoccupazione è più alta e si accettano posti con salari più bassi, in nero o irregolari, anche in deroga ai minimi contrattuali. Le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste dagli anni settanta in poi perché nel settore privato le multinazionali, le utilities, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie che – tendenzialmente riconoscono ai propri dipendenti stipendi molto più elevati della media – sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord. Inoltre le diversità possono trovare una giustificazione nel costo della vita.
REDDITI E SALARI MEDI PIU’ ELEVATI: PREZZI PIU’ ALTI
Una famiglia spende molto di più a Milano che a Reggio Calabria: la spesa media mensile per casa e bollette – secondo l’Istat – nel 2022 nel Settentrione era di 998 euro, contro i 683 del Meridione. Tanto che al Nord un coppia con un figlio piccolo è considerata povera con 1.200 euro al mese, al Sud la soglia è di 950.
Insomma, come in tutti paesi, anche in Italia nelle regioni in cui i redditi e i salari medi sono più elevati i prezzi sono più alti. Le differenze regionali sono spiegate, in larga misura, dai servizi, i cui prezzi riflettono le condizioni dei mercati locali, e dagli affitti. Secondo le stime, la differenza nel livello dei prezzi tra Centro-Nord e Mezzogiorno è del 15-17%. Sulla base del paniere di beni e servizi utilizzato dall’Istat per le soglie di povertà assoluta, la differenza nei prezzi tra Nord e Sud risulta del 20%. Tenendo conto dei prezzi, il divario Nord-Sud, che nel salario monetario è di circa il 28%, si riduce ad appena il 6% per il salario reale medio, mentre quello nel reddito disponibile pro capite passa da circa il 35% nominale al 17% in termini reali.
Il rapporto prezzo- potere d’acquisto – qualità e disponibilità di servizi pubblici
Nelle regioni settentrionali, in particolare nelle città più grandi, dove la struttura produttiva e occupazionale determina livelli di fatturato e redditi medi più elevati rispetto al Sud, esistono condizioni di domanda compatibili con prezzi più alti per molti servizi e per gli immobili. Nelle regioni meridionali, dove i prezzi sono più bassi, a parità di reddito, il potere d’acquisto è maggiore del 15-20%, a seconda delle stime, rispetto al Nord. Il potere d’acquisto così calcolato non tiene conto, però, delle differenze nella qualità e disponibilità dei servizi pubblici che incidono sul tenore di vita – e sulla spesa delle famiglie – tra le due aree. I prezzi si riflettono sul fatturato e sul valore aggiunto delle imprese che producono beni e servizi venduti sui mercati locali: si pensi, per esempio, ai servizi di ristorazione o agli immobili.
Ne consegue che i confronti regionali di produttività – così come quelli basati su dati a livello d’impresa – andrebbero aggiustati per tener conto dei prezzi dei beni. Produttività, salari e prezzi sono interrelati e, in ultima analisi, dipendono dalle caratteristiche delle strutture produttive regionali
Infine focalizziamo l’attenzione anche su un altro aspetto: gli operai e gli impiegati con il maggior numero medio di giornate lavorate durante il 2021 sono stati stati registrati nella provincia di Lecco (259,5 giorni), e a seguire in quella di Vicenza (258,2 giorni) e in quella di Treviso (256,9 giorni). Le province dove i lavoratori sono stati “meno” in ufficio o in fabbrica durante il 2021 sono state invece Nuoro (193,7 giorni), Messina (193,4 giorni) e Vibo Valentia (177,2 giorni).
PARAMETRI BASSI
I parametri per misurare gli stipendi sono diversi. Ma da qualsiasi angolazione li vogliamo prendere, la conclusione è sempre la stessa: sono troppo bassi per garantire a una giovane coppia di fare un progetto di vita, oppure a un single di immaginare una vita da ceto medio benestante come è stata quella dei suoi genitori. Da trent’anni un tarlo sta divorando i salari degli italiani, e la politica, affaccendata in tutt’altre faccende, sembra ignorarlo. Poi arriva la statistica dell’Ocse e si scopre la verità. Gli italiani, a parità di lavoro e di gradi gerarchici, guadagnano meno, molto meno dei colleghi tedeschi, francesi, spagnoli. L’Ocse calcola che, a parità di potere d’acquisto, il salario medio di un lavoratore italiano dal 1990 a oggi è sceso del 2,9 per cento.
Nello stesso arco di tempo, in Francia e in Germania i salari medi sono cresciuti più del 30 per cento e negli Stati Uniti di quasi il 40 per cento. In una città come Milano, dove gli stipendi sono tra i più alti d’Italia con una media di 35 mila euro all’anno, ogni lavoratore dal 1990 ha perso in busta paga qualcosa come 1.000 euro. La sua ricchezza è diminuita, invece di aumentare. Nel frattempo i prezzi per acquistare o affittare una casa sono triplicati, e anche l’aumento della spesa è andato ben oltre il tasso annuo di inflazione.
LA SOGLIA DELLO STIPENDIO BUONO
Difficile calcolare la soglia di un buono stipendio in un Paese così diverso, tra Nord e Sud. Ormai i primi livelli di stipendi a tempo indeterminato, dopo gli stage a 500 euro al mese, viaggiano attorno ai 1.200 euro al mese. Con questa cifra nelle regioni dell’Italia settentrionale sicuramente si stenta, nel centro Sud, invece, e specialmente se si somma anche un sostegno familiare, si riesce ancora anche a cavarsela. Che non significa fare un progetto di vita. E comunque diventa essenziale il ruolo del welfare parallelo, i sette milioni di nonni che passano soldi a figli e nipoti.
Secondo gli economisti e i sociologi, nelle attuali condizioni un buon stipendio in Italia per una famiglia con figli significa portare a casa qualcosa come 4mila euro al mese. Anche per pagare le rate di un mutuo e concedersi dignitose vacanze. Una cifra difficile da raggiungere anche con doppio stipendio della coppia.
La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA