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CHE cosa riserva il 2024 all’Italia? La risposta si declina differentemente in economia e in politica. Per quanto riguarda l’economia, le attese sono buone e modeste. Dopo tanti sommovimenti, in questi ultimi anni stipati di “cigni neri”, per l’Italia il 2024 si annuncia tranquillo: disinflazione e un 1% scarso di crescita. Insomma, un anno né troppo caldo né troppo freddo, come la minestra di Riccioli d’Oro. A livello globale la crescita sarà più alta che in Europa o in America, trainata da India e Cina. I rischi non sono nell’economia ma nella geopolitica. Circa la metà della popolazione mondiale andrà alle urne quest’anno: ha cominciato Taiwan, e nel resto dell’anno si dipaneranno elezioni in India, Bangladesh, Unione Europea, Portogallo, Finlandia, Russia, Pakistan, Indonesia e – le più attese – Stati Uniti. Tutto questo mentre i clamori e i clangori della guerra continuano a insanguinare l’Ucraina e il Medio Oriente.
I rischi della geopolitica diventano, ovviamente, rischi dell’economia, e i numeri delle previsioni diventano aleatori. Ricordo che molti anni fa l’Istat pubblicò una previsione per la crescita del prossimo anno in Italia. Andrà accelerando all’1,2%. Ma forse sarà del 5%; o forse sarà del -2%; o forse… Non si tratta, caro lettore, di numeri al vento: quell’ampia forchetta era visibile in un grafico che conteneva massimi e minimi della previsione 2016, a seconda di shock positivi o negativi che possono toccare l’economia. Il +1,2% era solo una “tendenza centrale”. Le “forchette” sono un utile antidoto alle false certezze che si incartano nella messe di dati e negli accapigliamenti sui decimali dei saldi di bilancio.
Allora, bisogna scrollare le spalle di fronte alle previsioni? No, una previsione onesta soppesa il pro e il contro e vede dove si ferma l’ago della bilancia, pur non nascondendo che altri fattori possono appesantire o alleggerire il risultato. In effetti, sul cielo ancora nuvoloso dell’economia italiana potrebbero oggi apparire almeno quattro squarci di sole: «li raggi delle quattro luci sante» sono la competitività ritrovata dell’economia, il minor costo delle materie prime energetiche, la riduzione del costo del danaro e l’aumento dei salari reali (inflazione in discesa e dinamica salariale in ascesa). E magari, anche un quinto raggio, che è la combinazione dei primi quattro, dato che in questi casi il tutto è più della somma delle parti. E, se tutto va bene, un sesto, che sarebbe l’accelerazione della spendita dei fondi del Pnrr. Dietro al minor costo del danaro sta l’inflazione in discesa, anche se le Banche centrali potrebbero tardare ad abbassare i tassi.
Cruciale è la posizione della Federal Reserve, e qui il presidente Powell ha sempre meno ragioni di procrastinare. Come si vede dal grafico, l’inflazione sta scendendo rapidamente verso il “Sacro Calice” del 2%, e per una variabile significativa, è già a quel livello. Per quanto riguarda la competitività in Italia, i risultati si manifestano nella tenuta del nostro export, dietro alla quale non c’è solo l’innovazione di processo e di prodotto delle imprese, ma anche una competitività-prezzo resa possibile da una meritoria ‘svalutazione interna’ (di quella esterna ce ne siamo nobilmente privati con l’ingresso nell’euro): con un’inflazione più bassa di quella dell’Eurozona, e una produttività più alta, abbiamo guadagnato capacità concorrenziale. Ma questi sono ancora solo numeri. Perché il possibile diventi probabile c’è bisogno di slancio e di fiducia. C’è bisogno di seminare ottimismo, e in questo siamo avvantaggiati dal fatto, raro in Europa, che abbiamo un governo stabile, un governo di legislatura.
Quale Italia si incammina verso il bivio disegnato da una forchetta di previsioni che deve tener conto anche di quelle variabili geopolitiche che possono insidiare la ‘tendenza centrale’ delle proiezioni per il 2024? L’Italia descritta da Daniele Cortis, nell’omonimo romanzo di Antonio Fogazzaro: «Ma che lavoro ingrato su questo floscio buon senso italiano che domanda a tutte le audacie il bilancio preventivo e ha tanta paura di passar per poco pratico e, sopra tutto, di perder l’ora di pranzo e la pace della digestione! Siamo, in fondo, un popolo di droghieri»; o quella di Carlo Azeglio Ciampi, che nel 1992 riecheggiava («Sta in noi…») le parole di Luigi Einaudi del 1947, quando questi ricordava agli italiani come fosse «necessario che essi non credano di dovere la salvezza a nessun altro fuorché a se stessi»?
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