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Pensioni: La manovra quota 41 avrebbe un costo perché abbasserebbe i requisiti attuali in particolar modo per gli uomini


Puntiglio. È questo il motivo che nei ‘’Promessi sposi’’ spinge Don Rodrigo, ad impedire il matrimonio di Renzo e Lucia solo per soddisfare un capriccio personale, avendo il nobilotto scommesso col cugino, il conte Attilio (‘’lo spensierato don Attilio’’ come lo definisce il Manzoni), che avrebbe sedotto la ragazza. Sarà perché è lombardo verace, anche Matteo Salvini si è messo in testa di impedire l’attuazione della riforma delle pensioni che – per iniziativa del ministro Elsa Fornero – aveva messo in sicurezza il sistema.

La guerra che il conducator ha portato avanti da più di in decennio ha mandato in malora ben 48 miliardi degli 88 miliardi di riduzioni di spesa previsti a regime, trovandosi poi – il tempo è galantuomo – ad assistere impotente dal 1° gennaio dell’anno prossimo al rientro delle regole di quella riforma, sia pure depotenziata e ammaccata. Claudio Durigon negli ultimi anni ha svolto il ruolo del capo dei ‘’bravi’’ che minaccia Don Abbondio (i vari governi compreso l’attuale) per impedire la celebrazione delle nozze. Al povero Durigon, che un po’ di pensioni ne capisce, è affidato un altro vincolo che ha preso il nome di quota 41.

A questo punto è necessario fare chiarezza per definire il concetto di “quota”, di cui si è abusato nelle ultime legislature. Per quote (100, 102, 103, 103 revisionata) si intende comunemente la somma dei due requisiti (anagrafico e contributivo ) che in questi anni hanno consentito l’anticipo della pensione. A dire la verità il sistema delle quote, strada facendo ha cambiato segno: se all’inizio ha favorito l’esodo (anche senza raggiungere gli obiettivi previsti dal governo giallo-verde) è divenuto gradualmente un forma di sostanziale disincentivo o un’uscita di cui in pochissimi si sono avvalsi visto che è risultata più conveniente la strada del pensionamento ordinario con i requisiti bloccati a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne.

Quota 41 nelle intenzioni di Salvini è un’altra cosa: rappresenta il pacchetto standard di anzianità contributiva che deve consentire il pensionamento a qualsiasi età anagrafica. Il fatto è che l’operazione avrebbe un costo perché abbasserebbe i requisiti attuali soprattutto per gli uomini che sono poi in grande prevalenza gli utenti del trattamento di anzianità. Che cosa ha pensato il ‘’bravo’’ Durigon? Chi scegliesse questa via d’uscita si sottoporrebbe al ricalcolo contributivo per l’intera pensione compresa la quota/parte ora in regime retributivo. Ci si domanda che senso avrebbe l’aggiunta di una nuova uscita penalizzata sul piano economico. Quando rimanendo al lavoro meno di due anni in più per gli uomini e meno di un anno in più per le donne, si eviterebbe il taglio dell’assegno invece erogato per intero secondo le regole del sistema misto.

Volendo essere onesti si deve riconoscere che l’assegno più basso sarebbe in parte compensato dalla sua riscossione in anticipo, sia pur breve. Va poi detto che spesso si esagera nell’indicare le dimensioni della perdita (20-30%), perché non si considera che tutti hanno un’anzianità lavorativa di cui almeno 13 anni (dall’1/1/2012) sono già calcolati col metodo contributivo. In più si dimentica che è già vigente una norma di carattere strutturale che – a certe condizioni – consente già oggi il pensionamento con 41 anni di versamenti senza essere sottoposti al ricalcolo. Questi lavoratori vengono tutelati in quanto “precoci” perché devono far valere almeno 12 mesi di versamenti prima dei 19 anni di età, ma la tabella dimostra che non si tratta di grandi numeri, ma che il meccanismo funziona in presenza di esigenze reali.

Non ha molto senso trasformare il pensionamento in una sorta di orario ferroviario con tante vie d’uscita tipicizzate. E tutto sommato molto simili tra loro, soprattutto se nel prossimo anno saranno confermati i due istituti dell’Ape Sociale e di Opzione Donna. Per altro quota 41 sarebbe una misura per i lavoratori maschi, perché le donne non riescono mediamente ad accumulare anzianità così lunghe (nel FPLD le pensioni anticipate per le donne sono 770mila contro oltre 2 milioni di uomini). Inoltre sarebbe una misura che metterebbe in difficoltà le giovani generazioni le cui condizioni di accesso al lavoro non consentirebbero la maturazione di un requisito contributivo importante.

Nella sua intervista il sottosegretario Claudio Durigon ha accennato ad un significativo cambiamento per quello che riguarda la previdenza complementare. Nelle intenzioni del Governo ci sarebbe la volontà di trasferire obbligatoriamente una parte del TFR (inizialmente del 25%) da destinare ai fondi pensione così da implementare l’importo della pensione una volta lasciata l’attività lavorativa. Questa proposta ha però un limite: vi sono lavoratori, soprattutto giovani, il cui rapporto di lavoro non contempla il tfr; per ovviare a questa discrepanza, mi sono permesso di avanzare una proposta, legata alla decontribuzione di sei punti percentuali, se la retribuzione imponibile, calcolata su base mensile per 13 mensilità, non supera i 2.692 euro al mese; di sette punti percentuali, se la retribuzione imponibile, calcolata su base mensile per 13 mensilità, non supera i 1.923 euro al mese.

Non è ancora una norma di carattere strutturale, ma il governo è intenzionato a rinnovarla, caricandosi del costo dell’operazione. La norma è rivolta ad aumentare le buste paga dei lavoratori dipendenti. Poiché la decontribuzione non è al riparo dall’eventuale applicazione di un’aliquota fiscale più elevata, si potrebbe stabilire, magari in via sperimentale, che le quote corrispondenti alla decontribuzione che vengano destinate a un forma di previdenza complementare, siano sterilizzate dagli adempimenti tributari e confluiscano, al lordo sui montanti contributivi individuali dei lavoratori, rendendo così conveniente l’allocazione delle relative risorse ai fondi e alle altre forme.


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