Fabio Panetta
4 minuti per la letturaLa riconfigurazione delle filiere produttive offre un’occasione d’oro per rilanciare l’economia del Mezzogiorno d’Italia. Una delle opportunità da cogliere è la localizzazione dei data center necessari per il funzionamento dell’intelligenza artificiale. L’alimentazione di questi impianti richiederà quantità di energia elettrica pari a quella che sostiene ogni anno l’economia giapponese e, secondo l’Agenzia internazionale, è il nostro Sud ad avere le risorse naturali che servono. Dobbiamo migliorare le infrastrutture e investire sul capitale umano e fare politiche di attrazione dei capitali. Che di loro cercano solo noi. Perché siamo il domani dell’Europa oltre che dell’Italia.
Il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha tenuto ieri una lectio magistralis su “Il futuro dell’economia europea tra rischi geopolitici e frammentazione globale” in occasione del conferimento della laurea honoris causa in scienze giuridiche banca e finanza presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Questo testo è denso di riferimenti puntuali sulle relazioni internazionali messe a dura prova da tensioni e conflitti insorti in molte aree del mondo: dall’Europa orientale al Medio Oriente, dall’Asia all’Africa. Unisce conoscenza giuridica, competenza empirica, visione globale e respiro economico europeo che partono da un anno, il 2023, che è stato quello con il maggiore numero di conflitti dalla Seconda guerra mondiale ai nostri giorni. Come dire: parte da qualcosa che è iniziato e non è mai finito; da qualcosa che incide sul nostro presente e sul nostro futuro costringendoci a fare i conti con un mondo nuovo privo di una nuova governance globale e costretto a fare dolorosamente i conti con le debolezze di una governance multilaterale già inadeguata da almeno quarant’anni.
Ci sono davvero tante cose di pregio come il riferimento agli investimenti comuni in beni pubblici europei e il richiamo all’Europa a convogliare a suo favore la forza collettiva dei Paesi che la compongono. Ne è in gioco la sopravvivenza se non è in grado di rafforzare la sua economia europea chiusa in una frammentazione competitiva tanto miope quanto ostinata. Sono molto efficaci e tremendamente attuali le parole di Luigi Einaudi del Secondo Dopoguerra, quello del miracolo economico italiano, richiamate da Panetta nelle ultime righe della sua lectio: “La necessità di unificare l’Europa è evidente.
Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza. Nessuno di essi è in grado di sopportare il costo di una difesa autonoma. Solo l’unione può farli durare. Il problema non è fra l’indipendenza e l’unione; è fra l’esistere uniti e lo scomparire”. Pensate queste parole di Einaudi, a oltre mezzo secolo di distanza, sono la cifra ispiratrice della scuola per troppo tempo inascoltata dei grandi europeisti italiani che sono per spessore di pensiero e azione sul campo uomini del calibro di Mattarella, Draghi, Prodi che con compiti e ruoli differenti in stagioni diverse sono per tutta l’Europa un punto di riferimento apprezzato che si muove coerentemente nel solco einaudiano.
Detto tutto questo, perché giusto e dovuto, ciò che a noi preme più di ogni altra cosa sottolineare è un passaggio della lectio di Panetta sulla nuova partecipazione alle catene globali del valore che riguardano le imprese europee e sono frutto innanzitutto dell’effetto combinato disposto della pandemia e dei carri armati di Putin in Ucraina che hanno tolto all’asse Est-Ovest lo scettro dei traffici globali e hanno ricollocato in posizione di preminenza l’asse Sud-Nord. Bisogna ascoltare Panetta, che ha il merito di averlo detto prima di tutti, quando torna a insistere sul fatto che “la riconfigurazione delle filiere produttive globali offre un’occasione per rilanciare l’economia del Mezzogiorno d’Italia”.
È molto utile andare a leggere la nota (numero 65) che accompagna questa affermazione dove si legge testualmente: “Un esempio di opportunità da cogliere è la localizzazione dei data center necessari per il funzionamento dell’intelligenza artificiale. L’alimentazione di questi impianti richiederà quantità di energia elettrica enormi e in rapida crescita, che secondo l’Agenzia internazionale per l’Energia raggiungeranno nel 2026 il livello di 1.000 TWh che è una misura pari all’energia elettrica utilizzata ogni anno dall’intera economia giapponese.
Per soddisfare un tale fabbisogno sarà necessario aumentare in misura significativa l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, e gli sviluppatori stanno esaminando le aree economiche dotate delle necessarie risorse naturali. Tra queste aree, il dibattito pubblico fa di frequente riferimento all’Italia meridionale”. Questo dice la nota 65 che abbiamo voluto riprodurre per intero perché abbiamo la speranza che si colga il valore strategico dell’opportunità storica che il Sud italiano oggi ha in quanto è il più sicuro dei Sud in un mondo ribaltato dove a dare le carte sarà proprio l’area demograficamente in espansione con una ricchezza di risorse giovanili e di materie prime vecchie e nuove, ma percorsa ovunque da tali e tanti focolai di guerra da farne una polveriera a cielo aperto.
Il Sud italiano, come questo giornale ripete ossessivamente, e come Panetta ha detto e scritto in tempi non sospetti, è il pezzo di mondo che può trarre maggiore vantaggio dalla riconfigurazione delle filiere produttive globali e dall’accorciamento delle catene della logistica. A patto, però, che sappia svolgere a livello globale politiche vincenti di attrazione dei capitali e di rafforzamento dei fattori di contesto produttivo che sono essenzialmente tre: la dotazione di infrastrutture, la disponibilità di risorse di lavoro qualificate, l’efficienza delle amministrazioni pubbliche. Per questo, come abbiamo sostenuto appena qualche giorno fa alla seconda edizione del Festival Euromediterraneo dell’economia, bisogna che Napoli sia in grado di conquistare la fiducia globale. Per non attrarre più solo le Academy, ma i quartieri direzionali delle multinazionali del futuro. Il Sud è il domani dell’Italia certo, ma prima ancora dell’Europa.
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