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ARRIVA da Washington il primo giudizio “internazionale “estero” sulla manovra varata il 16 ottobre dal governo Meloni – il parere della Commissione Ue sui piani di bilancio dei Ventisette è atteso per il 21 novembre – e se non è proprio una bocciatura, suona senz’altro come una bacchettata: per Fmi, il Fondo monetario internazionale, nella finanziaria, la seconda targata Meloni, «mancano misure per la crescita». Parole che alimentano il fuoco di fila delle opposizioni in un clima che sereno non è nemmeno nella maggioranza, tanto che l’esecutivo starebbe ragionando su un maxi-emendamento in cui far convergere possibili ritocchi, in primis su pensioni e affitti, “fonte” di scontento rispettivamente per la Lega e Forza Italia.
A rendere l’atmosfera incandescente ci sono poi alcune date in rosso sul calendario: venerdì 10 novembre è atteso il giudizio dell’agenzia di rating Moody’s sulla sostenibilità del debito, mercoledì 15 novembre arriveranno le previsioni della Commissione Ue, venerdì 17 sarà poi la volta del verdetto di Fitch, sempre per venerdì 17 è stato proclamato lo sciopero generale dei sindacati.
«Abbiamo consigliato al governo italiano di anticipare l’aggiustamento e di essere più ambizioso, nonché di pensare anche a riforme di bilancio strutturali e favorevoli alla crescita, che non sono previste nella manovra di bilancio 2024», ha affermato il direttore del Dipartimento europeo del Fmi, Alfred Kammer, presentando il Regional Economic Outlook per l’Europa. Per l’Italia, ha rimarcato, «sarà importante avviare un percorso favorevole alla crescita e aumentare la produttività, questa è la questione chiave. Pertanto sosteniamo un aggiustamento di bilancio favorevole alla crescita».
Nel rapporto l’Fmi ha confermato le stime per l’Italia diffuse in occasione della riunione svoltasi in ottobre a Marrakech che prevedono una crescita ferma allo 0,7% sia quest’anno che il prossimo, dell’1% nel 2025: da qui il secondo “consiglio”, che è quello di spingere nella manovra al massimo sull’attuazione del Pnrr. «L’Italia deve lavorare duro per spendere bene i fondi del Next Generation Eu», ha sostenuto Kammer, rilevando che il Paese, come molti altri, ha dovuto e deve fare i conti con i «limiti di capacità nell’attuazione del Next Generation Eu». Limiti che dovranno necessariamente essere superati «perché il Next Generation Eu sarà importante e darà impulso alla crescita nel breve e nel medio termine». Sempre a Marrakech lo stesso Kammer aveva affermato che la messa a terra dei progetti del Pnrr rendeva la stima del governo di una crescita dell’1,2% nel 2024 «ambiziosa ma fattibile».
La manovra, poi, oltre a quella dell’Fmi, è anche sotto la lente della Commissione europea che tra qualche giorno renderà noti i suoi pareri sui piani di Bilancio dei Paesi dell’Unione che, ha spiegato il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, arrivando all’Eurogruppo, si baseranno su tre criteri: «Primo, l’aumento della spesa primaria, secondo l’uscita dalle misure di aiuto sull’energia. E, terzo, sulla capacità dei Paesi membri di preservare gli investimenti». Una voce sempre più “strategica” in uno scenario economico in netta frenata come quello europeo, che l’ex presidente della Bce ed ex premier, Mario Draghi, vede fosco: «E’ quasi sicuro che avremo una recessione entro la fine dell’anno. E’ abbastanza chiaro che i primi due trimestri del prossimo anno lo dimostreranno», ha affermato durante una conferenza del “Financial Time”, indicando in una maggiore integrazione politica la strada per la “salvezza”. «O l’Europa agisce insieme e diventa un’unione più profonda, un’unione capace di esprimere una politica estera e una politica di difesa, oltre a tutte le politiche economiche oppure temo che l’Unione Europea non sopravviverà se non come mercato unico». «Per avere un’economia in grado di sostenere una società che invecchia al ritmo che abbiamo in Europa, dobbiamo avere una produttività molto più elevata», ha aggiunto considerando fondamentale un’azione comune sull’energia. «Non andremo da nessuna parte pagando l’energia due o tre volte quello che costa in altre parti del mondo», ha puntualizzato.
Sebbene Draghi abbia affermato che la recessione difficilmente sarà «profonda» o «destabilizzante», la sua valutazione risulta comunque più pessimistica rispetto alle recenti previsioni della Bce e a quella “confermata” ieri dall’Fmi nel Regional Economic Outlook, che prevedono entrambi un rimbalzo della crescita europea a partire dagli ultimi mesi di quest’anno. Draghi – che su incarico della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è impegnato nella stesura un rapporto su come la Ue può affrontare l’erosione della competitività globale, in particolare rispetto a Cina e Usa – ha affermato che l’impatto della prevista recessione sull’economia europea sarà probabilmente attenuato dal livello relativamente basso di disoccupazione, che è leggermente aumentato a settembre dopo aver toccato il minimo storico del 6,4% all’inizio di quest’anno».
Più ottimistica la previsione degli economisti di Washington che per l’Europa prefigurano “un atterraggio morbido” dopo l’impatto dei rialzi dei tassi. Certo, le previsioni di crescita restano incerte: se l’inflazione scendesse più rapidamente del previsto – spiega il Fondo – ciò aumenterebbe il reddito reale dei consumatori e la spesa e la crescita potrebbero migliorare. Ma un’escalation della guerra della Russia contro l’Ucraina, accompagnata da un aumento delle sanzioni e dalle interruzioni del commercio, potrebbe significare una crescita più debole. «Riguardo alla crisi mediorientale – ha detto il direttore del dipartimento Europeo, Kammer – per ora ha portato ad un temporaneo aumento dei prezzi del petrolio ma non ha sconvolto l’economia europea».
Intanto per quest’anno l’Fmi ha previsto per l’Eurozona una crescita dello 0,7%, dell’1,2% l’anno prossimo. «Dopo aver affrontato con successo le sfide della pandemia e lo shock dei prezzi dell’energia innescato dalla guerra della Russia in Ucraina, l’Europa si trova ad affrontare il difficile compito di ripristinare la stabilità dei prezzi garantendo al tempo stesso una crescita forte sul lungo termine», sottolinea il Fondo, rimarcando tuttavia come l’inflazione sia «in graduale calo». Quest’anno nell’Eurozona la corsa dei prezzi dovrebbe attestarsi al 5,6%, al 2,5% nel 2024 e nel 2025 (in Italia dovrebbe fermarsi al 6% nel 2023, per poi scendere al 2,6% il prossimo anno e al 2,2% nel 2025).
La stretta monetaria della Banca centrale europea comincia a dare i primi frutti, e “il ciclo di inasprimento dei tassi si avvicina alla fine”, ma la crescita dei salari nominali superiori all’inflazione e ai tassi di crescita della produttività, si avverte, rappresentano un rischio, pertanto la Bce dovrebbe mantenere i tassi di interesse al livello record del 4% o vicino a questa soglia fino al prossimo anno per disinnescare le pressioni sui prezzi. «La politica monetaria è opportunamente restrittiva e deve rimanere tale anche nel 2024», ha sottolineato Kammer. Una volta allentata la stretta, un nuovo eventuale necessario inasprimento sarebbe «ancora più costoso». «E’ meno costoso essere troppo stretti piuttosto che essere troppo larghi», ha sentenziato Kammer.
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