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Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia e delle Finanze

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L’ALTRO giorno, il Ministro Giorgetti ha detto “a me fanno paura non le valutazioni dell’Ue ma quelle dei mercati che comprano debito pubblico”. E ha ragione. Con l’aumento dei tassi d’interesse e il rallentamento dell’economia, mantenere la sostenibilità del debito pubblico italiano e la credibilità delle politiche del governo agli occhi degli investitori non è facile. Ma quest’agosto non è stato solo caldo sulle spiagge italiane ma anche sui mercati finanziari, entrati in fibrillazione quando il governo ha piazzato un dritto e un rovescio di fila. Prima la tassazione sugli “extra profitti” delle banche e poi la dichiarata intenzione di offrire ai debitori insolventi una via d’uscita. All’apparenza sembrano provvedimenti di buon senso. Se il reddito reale delle le famiglie è in crisi e l’economia rallenta, meglio redistribuire da chi ha guadagnato molto con il rialzo dei tassi d’interesse, cioè dalle banche, a favore della collettività. Allo stesso tempo, offrire l’opportunità ai debitori di uscire dal fardello del debito e aprire nuovamente loro la strada del credito bancario, a beneficio dell’economia, sembra l’uovo di Colombo.

Ma non è così. Ogni economia efficiente funziona soltanto all’interno di una cornice stabile e rispettata di regole e di fiscalità. Se con un provvedimento avventato e mal concepito si mette in discussione in modo retroattivo la cornice fiscale di riferimento e il debito pubblico, si crea lo scompiglio nei mercati e il crollo delle quotazioni di borsa delle principali banche italiane per più del 10%, come è avvenuto in agosto. E non è bastato che il Ministro Giorgetti ci mettesse una pezza il giorno dopo, limitando all’1% degli attivi la proposta tassazione al 40% sugli extra profitti. Il danno, non solo d’immagine ma anche di credibilità, ormai era stato fatto. Il messaggio che ne è uscito è che qualsiasi operatore economico – e non solo le banche – quando produce profitti più di quanto è percepito come socialmente accettabile, può aspettarsi un intervento del Robin Hood fiscale. E il cambiamento delle regole può essere anche retroattivo.

Su queste basi chi investirà più in Italia? E non solo gli investitori esteri ma anche quelli italiani che si troverebbero alla mercé di chi decide arbitrariamente qual è il “profitto giusto”. Non basta dire che è una situazione eccezionale ed unica, perché ci saranno sempre giustificazioni simili in futuro. Un tale intervento si può spiegare soltanto se vi è un chiaro problema di funzionamento del mercato, come nel caso del prezzo del gas al quale l’invasione russa dell’Ucraina non aveva consentito di metter mano per tempo. Ma non è così questa volta. Se vi fosse un ‘fallimento di mercato’ perché le banche non adeguano i tassi sui depositi al pari di quelli sui prestiti, il governo dovrebbe intervenire tempestivamente con la regolamentazione bancaria per aumentare la concorrenza e ridurre in tal modo i margini. Invece, l’attuale provvedimento governativo rischia di ripercuotersi negativamente sull’ammontare e il costo del credito.

Per usare le parole del Fondo Monetario Internazionale, “un’imposta aggiuntiva sui profitti bancari tenderebbe a ridurre i tassi di interesse sui depositi, ad aumentare il costo dei prestiti e a ridurre la quantità di intermediazione finanziaria in un momento in cui il volume dei prestiti è già in calo”, andando peraltro a penalizzare proprio le piccole e medie imprese che sono la spina dorsale dell’economia del Paese. Come se non bastasse, a fine agosto si è paventata l’ipotesi di introdurre un provvedimento che consentirebbe a chi non ha onorato i propri debiti nei confronti delle banche l’opzione di riacquistarli a prezzi fortemente scontati. Il sovrapprezzo sarebbe “ragionevole” rispetto ai prezzi da svendita a cui le banche erano state costrette per alleggerire le posizioni ‘in sofferenza’ a partire dalla crisi del 2010-2011. Anche in questo caso, in apparenza sembra un provvedimento di buon senso. Come dice la storiella che lo introduce: “I soggetti in campo sono tre, con ben diversi rapporti di forza: le banche che sono costrette a cedere i crediti deteriorati a prezzi estremamente bassi, pur di rientrare nei limiti determinati dalla BCE; i soggetti debitori, spesso costretti a cedere o cessare la propria attività gravata da debiti non risarcibili, ancorché potrebbe essere “salvata” e riportata in attivo; i soggetti finanziari che lucrano su questa duplice debolezza, con margini di guadagni francamente inaccettabili”. E quindi che male c’è se si vuol “liberare dalla schiavitù del debito oltre un milione di soggetti con evidenti conseguenze positive sul tessuto sociale e produttivo del Paese”? Anche in questo caso è il “Principe” che decide quali margini di guadagno sono accettabili o no, contravvenendo le regole di mercato in modo retroattivo e plateale. Peraltro, andando a colpire gli investitori che si sono accollati il rischio di gestire il recupero crediti di queste posizioni, consentendo alle banche di tornare a fare il loro lavoro, ovvero finanziare l’economia sana, e al contempo uccidendo di fatto il mercato dei crediti deteriorati che ormai costituisce un’utile valvola di sfogo per le banche anche in situazioni di normalità.

Il Primo Ministro Meloni aveva caratterizzato l’inizio del suo mandato all’insegna della serietà, della disciplina di bilancio e del rispetto delle regole. Ma poi, complice la calura estiva, è scivolata nuovamente nel populismo, sparando sulle banche, che – è noto- sono un po’ come la croce rossa. Ma non è troppo tardi. Il provvedimento sulle posizioni in sofferenza non è ancora stato proposto come decreto legge, mentre quello sugli “extra profitti” dovrà passare in parlamento per la conversione in legge. Per racimolare i 2,5 miliardi che quest’ultimo si prevede possa portare alle casse dello stato, si rischia di fare un danno permanente, proprio in un periodo difficile per il finanziamento delle imprese e soprattutto del debito pubblico, che è una partita molto più grande per il Paese. Giorgia Meloni ha voluto dimostrare di non essere Lizz Truss quando è diventata Primo Ministro. Ora deve convincere chi ha già iniziato a dubitarlo.


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