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Consumi, la doccia fredda dell’Istat che rileva una flessione delle vendite al dettaglio. Un serio segnale di allarme.


Dopo l’euforia per il riconoscimento all’Italia da parte della Bce dei successi sul fronte del lavoro e dello spread, venerdì 11 gennaio invece una doccia fredda dell’Istat ha spento gli entusiasmi. L’Istituto di Statistica infatti ha rilevato a novembre una flessione delle vendite al dettaglio sia su ottobre che rispetto al 2023. Un segnale di allarme per i consumi che continuano a essere un campo minato per l’economia. È vero che a dicembre c’è stata una spinta degli acquisti, ma il dato di ieri è comunque preoccupante perché misura uno stato di salute non buono delle famiglie. A novembre la variazione negativa del commercio al dettaglio ha riguardato sia il valore (-0,4%), sia il volume (-0,6%). In diminuzione le vendite dei beni alimentari (-0,1% e -0,6%) e dei non alimentari (-0,7%).

CONSUMI, LA FLESSIONE DELLE VENDITE AL DETTAGLIO

Nel trimestre settembre-novembre invece c’è stato un aumento che ha coinvolto gli alimentari, soprattutto per quanto riguarda il valore (+1,3%), mentre le quantità si sono fermate a + 0,1%, e i non alimentari (+0,4% e +0,3%). Su base tendenziale il rialzo c’è stato ma solo in valore (+1,1%) perché i volumi si sono ridotti dello 0,2%. Un fenomeno che ha colpito soprattutto il cibo per il quale si è speso il 2,8% in più per un quantitativo ridotto dello 0,2%.

Per i non alimentari cali in valore e quantità. Tra questi ultimi il report ha segnalato una crescita significativa sull’anno per i prodotti di profumeria e cura della persona che hanno messo a segno +4,1% a fronte di una riduzione consistente del 2,8% delle dotazioni per l’informatica. In questo scenario ha continuato a tenere bene solo la grande distribuzione, mentre tutti gli altri canali di vendita hanno registrato una flessione. Rispetto a novembre del 2023 infatti la Gdo è aumentata del 3,8% al traino degli alimentari (+4,3%).

Su terreno negativo le imprese che operano su piccole superfici (-0,9%), ma anche il commercio elettronico (-3,3%). Per Confesercenti, che ha lamentato la difficile situazione dei piccoli negozi, i dati Istat hanno confermato “l’autunno freddo del commercio, che non viene scaldato nemmeno dal Black Friday”.

Coda lunga dell’inflazione e incertezze, secondo l’associazione, sarebbero alla base della prudenza delle famiglie e a soffrire sono le piccole superfici. Il quadro delineato dai numeri di novembre ha evidenziato come i consumi, nonostante l’illusione di settembre, non siano ripartiti. Anche il dato acquisito per gli undici mesi del 2024 in volume è stabilmente negativo (-0,5%) con una ricaduta sui piccoli esercizi commerciali che hanno perso l’1,5%. Confesercenti a fronte di un “un quadro generale di stallo della spesa delle famiglie, che nonostante il rallentamento dell’inflazione, ne soffrono ancora gli effetti” ha sostenuto ancora una volta “la necessità di dare una scossa positiva alla domanda interna: bisogna continuare sulla strada della riforma fiscale per liberare risorse”.

Meno cupa le lettura della Confcommercio che ha segnalato il ” contenuto miglioramento” dell’ultimo trimestre sul periodo precedente anche se ha in ogni caso evidenziato “la difficoltà delle famiglie a intraprendere un percorso di significativa ripresa della domanda soprattutto di beni”.

Il nodo è che in questo scenario molto complesso si inserisce un elemento che potrebbe ulteriormente appesantire i bilanci delle famiglie e delle imprese e innescare una nuova spirale inflazionistica. Il 2025 si è aperto con un aumento delle bollette. Intanto ieri il prezzo del petrolio relativamente al contratto sul Wti americano per febbraio ha segnato un rialzo dello 0,81% a 74,52 dollari al barile e il Brent, consegna a marzo, si è rivalutato dello 0,79% a 77,53 dollari. Dopo il gas anche il petrolio torna così in zona critica.

Per Confcommercio i rialzi rischiano di penalizzare nuovamente l’Italia che sopporta costi energetici superiori alla media europea “con pesanti ricadute sulle imprese, in particolare quelle del terziario di mercato che già nel 2024 hanno registrato un incremento del 35% della spesa media rispetto al 2019”.

Confcommercio ha anche affermato che non sono solo i “ritocchi” a scatenare le tensioni sui listini, ma anche le speculazioni finanziarie. E tra gli interventi sollecitati in ambito nazionale ha indicato la revisione degli oneri generali di sistema che per le imprese del terziario incidono per il 26% sulla bolletta elettrica oltre a misure per incentivare l’efficienza energetica. A lanciare l’allarme sugli effetti del caro energia anche la Coldiretti che ha denunciato i rischi di un ulteriore peggioramento di una situazione che vede già i costi del trasporto di cibi e bevande incidere per circa il doppio rispetto alla media generale di tutti gli altri prodotti che viaggiano su strada e via mare, mentre, è pari al triplo per la logistica ferroviaria e 5 volte quella dei trasporti aerei secondo un’analisi del Centro Studi Divulga.

Inoltre per Coldiretti un aumento del prezzo del carburante potrebbe pesare sull’export agroalimentare considerando che il 40% dei cibi e bevande made in Italy che vanno all’estero viaggiano su strada.
I problemi dunque si intrecciano e portano a un unico risultato: prezzi alti e consumi in discesa. Che si traducono in una pesante ipoteca sulla ripresa economica del Paese alle prese con una crisi industriale. Secondo l’indice della crescita economica Rtt di Confindustria a novembre c’è stato un calo del 3,4% con -5,1% nell’industria. Il futuro non è allegro. E preoccupazioni sono state espresse dalle associazioni dei consumatori che hanno acceso i riflettori sulle crescenti criticità delle famiglie.

Il Codacons, in riferimento ai dati Istat sulle vendite, ha parlato di un peggioramento e in considerazione del taglio dei consumi operato dalle famiglie anche in settori primari come il cibo ha rilanciato al Governo la richiesta di “studiare misure efficaci per sostenere la spesa dei cittadini, i quali continuano a subire i rincari del prezzi specie nel comparto alimentare”. E ha puntato il dito sui tagli a tavola anche Assoutenti che ha valutato una riduzione degli acquisti di alimentari da parte dei nuclei familiari pari a 1,46 miliardi rispetto all’anno precedente “una vera e propria dieta forzata”.


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