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Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat l’incidenza sul Pil e quindi sull’economia italiana del sommerso, ossia quella parte che sfugge ai conti dello Stato, è in calo
Negli anni Cinquanta spopolava una trasmissione televisiva chiamata “Telematch”, assortita da un gioco chiamato “L’oggetto misterioso”. L’economia sommersa – misteriosa quasi per definizione, dato che non la si può osservare (e l’Istat la chiama, appunto, “economia non osservata”) – ha tutte le caratteristiche di un ‘oggetto misterioso’. In quel gioco della Rai, Renato Tagliani andava in giro per le piazze, mostrando a qualcuno la foto di una parte dell’oggetto misterioso, e l’interpellato doveva indovinare che cos’era.
Se oggi Renato Tagliani (buonanima) andasse per strada e indicasse a qualcuno un pezzo di ‘economia sommersa’ (un posteggiatore abusivo? Un esercente che non dà lo scontrino?) ben pochi sarebbero capaci di definire l’oggetto ‘sommerso’. Qualche mese fa (ottobre 2023) l’Istat ha presentato l’ultima delle annuali stime sul ‘sommerso’ della nostra economia («L’economia non osservata nei conti nazionali | anni 2018-2021»).
Prima di andare avanti, vediamo di dirimere un equivoco frequente: l’economia ‘non osservata’ non è qualcosa che si aggiunge al Pil (Prodotto interno lordo, cioè il valore dei beni e servizi finali prodotti in Italia). Il Pil già comprende il sommerso, o, per meglio dire, le stime eroiche del sommerso prodotte dall’Istat. I numeri dell’Istat ci dicono, per esempio, che un Pil di 100 è formato, mettiamo, per 90 da un’economia ‘osservata’, e per 10 da un’economia ‘non osservata’.
IL PESO DEL SOMMERSO NELL’ECONOMIA ITALIANA
La tabella dell’Istat, che distingue le varie componenti dell’economia sommersa – sotto-dichiarazione dei redditi, lavoro irregolare, attività illegali e altro… – quantifica il sommerso, al 2021, in poco più del 10% del Pil. Una quantificazione, questa che vede una progressiva diminuzione di questa ‘economia non osservata’: nel 2018, era pari all’11,8% del Pil.
La brusca discesa nell’annus horribilis della pandemia (il 2020), quando tracollò sia l’economia osservata che quella non osservata, non è difficile da spiegare. Quando si poteva andare solo al supermercato, alle banche, in farmacia e alle stazioni di servizio (tutte imprese ‘osservate’), le attività sommerse soffrirono maggiormente. Semmai, c’è da stupirsi che, nell’anno di impetuosa ripresa (il 2021, quando il Pil rimbalzò dell’8,3%, dopo il -9% del 2020), l’economia non osservata sia rimasta al livello (in quota di Pil) dell’anno precedente.
I DATI DELLA BANCA MONDIALE SULLE “ECONOMIE OMBRA”
Il nostro istituto di statistica non è l’unica fonte di ricerche che si chinano su quell’oggetto misterioso che è il ‘sommerso’. La Banca mondiale mantiene una banca dati (aggiornata al 2020) su quelle che chiama le ”economie-ombra” (shadow economies): https://www.worldbank.org/en/research/brief/informal-economy-database, e, per l’Italia ci sono due distinte stime (in percentuale del Pil) dell’economia sommersa per quell’ultimo anno, ed ambedue molto più alte di quella dell’Istat: 29,8%, da un modello di “equilibrio generale dinamico”, e 26,1% dal modello MIMIC (“indicatori multipli/cause multiple”). Più recentemente, uno studio per il Parlamento europeo («Taxation of the Informal Economy in the EU,” di Schneider, F. e A. Asllani – Policy Department for Economic, Scientific and Quality of Life Policies, Luxembourg, 2022), dà una stima del 22%.
L’ultima analisi in proposito (dicembre 2023) è quella di un saggio del National Bureau of Economic Research («Rethinking the informal economy and the Hugo effect», di Francesco Pappadà e Kenneth S. Rogoff, Working Paper 31963), che copre molti Paesi, e, per l’Italia, rincara la dose della quota dell’economia sommersa: siamo al 31% del Pil. Il problema con questa stima è che la percentuale di Iva evasa (ricavata dal rapporto fra Iva riscossa e quella che si sarebbe dovuta incassare su una base imponibile ricavata dai dati di contabilità nazionale) viene considerata come la percentuale dell’economia sommersa. Si assume, insomma, che dietro l’evasione dell’Iva ci sia occultamento dei redditi che sono andati a costituire i beni e i servizi ‘non osservati’.
LA POSIZIONE DELLA COMMISSIONE UE SULL’EVASIONE DELL’IVA
È probabile che ci sia qui una confusione fra due concetti che un altro studio – sempre del dicembre 2023 – della Commissione Ue chiarisce. Questo «Vat Gap in the European Union» – redatto da Anna Pingen, del “Max Planck Institute for the Study of Crime, Security and Law” – spiega la distinzione fra due divari: il “Vat Policy Gap”, che è la differenza fra l’Iva riscossa, e quella che si sarebbe dovuta riscuotere sulla base in teoria tassabile ricavata dai dati di contabilità nazionale; e il “Vat Compliance Gap”, che è la differenza fra l’Iva riscossa e quella che si sarebbe dovuta riscuotere su una base tassabile dell’Iva, che è più bassa di quella ricavata dalla contabilità nazionale, e che tiene conto, a differenza del “Vat Policy Gap” di aliquote Iva ridotte per certe categorie di beni e servizi e delle misure discrezionali di variazione delle aliquote in funzione anticiclica.
E in effetti, per il 2021, il “Vat Compliance Gap” stimato dalla Commissione per l’Italia è pari al 10,8%: una quota quasi identica alla stima Istat per l’economia sommersa. Una stima, insomma, di cui ci dobbiamo fidare. Così come ci dobbiamo fidare del fatto che la quota di economia sommersa sia andata diminuendo: un risultato confermato dallo studio della Commissione Ue sul “Vat Gap”, che ci dice come nel 2021 questo divario sia sceso rapidamente, in Italia come in tutta l’Ue; ma la discesa, in punti percentuali, è stata in Italia la più forte rispetto a tutti gli altri Paesi.
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