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Cala l’inflazione nell’Eurozona e lo fa, compresa in Italia, senza effetti collaterali e in particolare senza scivolare nella deflazione

Come succede spesso, le vicende dell’economia e della società si dipanano su due piani: da una parte, quello che i francesi chiamano la ‘politique politicienne’, dove dominano gli scontri sulla legge di bilancio, sul Mes, sulle incombenti elezioni europee, su diatribe e garbugli fra maggioranza e opposizione…; dall’altra parte, ci sono le correnti profonde dell’economia, che scorrono nei solchi dell’occupazione, dei prezzi, dei tassi…

Vale la pena, allora, sollevare lo sguardo dal Palazzo e guardare al quo vadis dell’attività economia. In questo quo vadis la variabile più importante è l’inflazione. Perché è la più importante? Per almeno tre ragioni: i prezzi alti inficiano la fiducia e la voglia di spendere; i prezzi alti erodono il potere d’acquisto dei redditi, a cominciare dai salari; i prezzi alti, infine, spingono i tassi di interesse, e questo aumento del costo del danaro ci mette del suo per rallentare l’economia (oltre a causare problemi ai bilanci pubblici).

INFLAZIONE E DEFLAZIONE, LA LEZIONE DI KEYNES

Su inflazione e deflazione Keynes aveva visto giusto. È vero che scrisse: «Non vi è maniera più sottile e più sicura di scalzare le basi stesse della società che quella di svilire la moneta. Un processo, questo che arruola tutte le forze occulte delle leggi dell’economia verso l’obiettivo della distruzione, e lo fa in un modo che neanche un uomo su un milione è capace di diagnosticare…». Ma è anche vero che più tardi affermò: «L’inflazione è ingiusta, e la deflazione scomoda. Delle due, forse la deflazione è peggiore. È peggio, in un mondo impoverito, provocare disoccupazione che deludere chi vive di rendita».

Gli ultimi anni hanno visto sia la deflazione che l’inflazione, e abbiamo avuto modo di confermare come questi due mali siano capaci di squassare il sistema economico e sfilacciare il tessuto sociale. È allora consolante vedere come oggi quell’inflazione che ci aveva afflitto stia scivolando nella ‘disinflazione’, senza cadere nella deflazione. Poco più di un anno fa (novembre 2022) i prezzi al consumo, in Italia, fecero registrare un picco (variazione percentuale sull’anno) del 12,6%. A novembre 2023 siamo scesi allo 0,6%. Nel resto dell’Eurozona e in America la discesa non è stata così drammatica, ma di discesa si tratta.

Il grafico mostra come la dinamica dell’inflazione, sia in Usa che in Europa, si stia rapidamente raffreddando. Invece di guardare alle variazioni sui 12 mesi, che non danno conto degli andamenti più recenti, guardiamo agli ultimi sei mesi, annualizzando la variazione. Uno ‘sguardo’, questo, che è tuttavia è possibile (nel senso che porta a risultati significativi), solo se i dati di base sono destagionalizzati.

EUROZONA, CALA L’INFLAZIONE MA SENZA DEFLAZIONE

Non è un problema per l’America, dato che tutte le statistiche sui prezzi rimuovono l’influenza stagionale. Per l’Europa, né l’Eurostat né l’Istat pubblicano i dati destagionalizzati. Tuttavia, la Bce (che ha uno interesse a dir poco statutario nell’analisi dell’inflazione), calcola anche (sepolto nella sua banca dati) un indice, per l’Eurozona intera, corretto della stagionalità, ed è quest’indice che è stato usato per confrontare la dinamica dell’inflazione sulle due sponde dell’Atlantico. L’inflazione è scesa rapidamente e non è lontana da quel traguardo del 2% cui le Banche centrali anelano «Come la cerva anela ai corsi d’acqua…» (Salmo 42).

E c’è di più: almeno per quanto riguarda gli Stati Uniti, il famoso 2% è già a portata di mano, solo che si guardi ad altri indici dei prezzi al consumo. Per esempio, come spiegato il 22 dicembre, un’altra misura dei prezzi è il deflatore dei consumi delle famiglie, che si ottiene confrontando i valori (disponibili mensilmente) dei consumi privati in valore e in volume (con ciò evitando il problema, che affligge invece gli indici dei prezzi al consumo, dei pesi fissi dei panieri di spesa). In effetti, questo deflatore, nella versione cosiddetta ‘core’ (cioè al netto degli alimentari e dell’energia) è già sotto al 2% (sempre nella variazione annualizzata a sei mesi). E lo stesso si può dire per l’indice dei prezzi al consumo nella versione ‘supercore’ pubblicata dal Bureau of Labor Statistics (oltre ad alimentari ed energia, toglie anche affitti ed auto usate).

NELL’EUROZONA L’INFLAZIONE CHE CALA è UN SEGNALE POSITIVO

Insomma, a meno di nuove fiammate dai prezzi dell’energia (non da escludere in questo mondo complicato), i dati ci dicono che l’inflazione si avvia a non essere più un problema. Il che è specialmente importante per l’Italia perché favorisce quel calo dei tassi che è essenziale sia per l’economia che per gli equilibri del bilancio. Il calo dello spread BTp/Bund e il miglioramento della fiducia di famiglie e imprese, ne sono testimoni.


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