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IL CAMBIAMENTO di passo per l’economia italiana è frutto di illusioni ottiche o è vero e strutturale? Quanti negano che il vento sia cambiato per la nostra economia, ammettono che negli ultimi anni siamo andati crescendo più degli altri, ma affermano che questo strappo di crescita è illusorio, per due motivi. Primo, si tratta di un rimbalzo: durante l’annus horribilis della pandemia eravamo caduti di più, e ora siamo rimbalzati di più – tutto qua. Secondo, si tratta di un rimbalzo drogato dai superbonus.

Guardiamo allora alle cifre. Il primo grafico ci dà il triste sfondo della nostra stagnazione. Confrontando, a partire dal 1995 – quasi trent’anni fa… – l’andamento del Pil reale dei tre maggiori Paesi dell’euro e della media Eurozona, vediamo che l’Italia era la cenerentola dell’area, relegata nei bassifondi della crescita.

Il secondo grafico dipinge un andamento lietamente opposto. Anche partendo dalla fine del 2019 – subito prima della deflagrazione pandemica – questa volta l’Italia è in testa. Di poco, si dirà. Ma quel “poco” è molto, visto quello che era successo nei decenni precedenti, quando l’Italia era regolarmente il fanalino di coda. Si dirà: il periodo più recente (dal IV 2019 al II 2023, quattordici trimestri) è un periodo corto, da non confrontare con la trentina d’anni precedenti. Ma, anche a scavare in quella trentina, non c’è mai stato un periodo di 14 trimestri in cui l’economia italiana sia cresciuta più dell’Eurozona.

Insomma, il passo è cambiato. E qualche indizio del perché del cambiamento si può ritrovare nel comunicato dell’Istat che ha spiegato la revisione sostanziosa dei dati del Pil nel 2021 – l’anno del rimbalzo: «Dal lato del sistema produttivo, durante il biennio 2020-2021 si è osservata un’accelerazione della demografia d’impresa con elevata natalità e mortalità delle unità produttive specie di minori dimensioni. Inoltre, si è assistito a processi di riorganizzazione che hanno determinato cambiamenti strutturali rilevanti, finalizzati al miglioramento dell’efficienza, anche attraverso il contenimento dei costi operativi». Il che è una trascrizione rigorosa di qualcosa che era stato già osservato, l’anno scorso, su queste colonne: l’indice della produzione industriale italiana, nel 2021, si è «ripreso più fortemente, e oggi è l’unico che sfiora i massimi precedenti alla crisi da Covid, massimi da cui Francia e Germania sono invece ancora lontane. È come se la caduta più brusca avesse spinto le imprese italiane, se non altro per istinto di sopravvivenza, a innovare processi e prodotti più rapidamente che altrove. Insomma, non tutto il male viene per nuocere.

La virtù purificatrice delle crisi fu magnificata da Keynes in una divertente osservazione di tanti decenni fa: era il 1945, la Seconda guerra mondiale volgeva al termine, con la vittoria degli alleati, e Keynes poteva ormai solo sperare, per rinnovare l’industria inglese, nel “fuoco amico”! Il grande economista, un anno prima di morire (è quasi un testamento…) scrisse: «Se per qualche sprovveduto equivoco geografico le forze aeree americane – è ormai troppo tardi per sperare qualcosa dai tedeschi – potessero distruggere ogni fabbrica nella costa del Nord-Est e nel Lancashire (in un’ora in cui dentro ci sono solo i manager e nessun altro), non avremmo niente da temere. Non vedo come potremmo altrimenti riguadagnare quella esuberante inesperienza che è necessaria, sembra, per aver successo…». A parte gli eccidi (virtuali) auspicati da Keynes, è vero che la necessità aguzza l’ingegno, ed è vero che la classe imprenditoriale italiana, se ha tanti difetti, ha anche tante virtù. E fra queste è la capacità di reagire alle crisi prima e meglio degli altri, cambiando modi di produrre, cose da produrre e mercati di sbocco. Sgombrato il campo dalla prima critica (“si tratta solo di un rimbalzo…”) veniamo alla seconda. La crescita di quei 14 trimestri – si dice – è stata drogata dagli incentivi all’edilizia, un una tantum che ci ha dato l’illusione di aver cambiato veramente passo.

Certamente, questi incentivi hanno aiutato. Se confrontiamo gli investimenti in abitazioni dalla fine del 2019 all’ultimo dato disponibile, vediamo che questi sono aumentati – in volume – di un incredibile 49% in Italia, mentre sono leggermente calati in Francia e in Germania, e saliti di un modesto 2,5% nella media Eurozona. Allora, come si ridimensiona la performance italiana se teniamo conto di questa anomala spinta? Un terzo grafico (che non c’è) ci dice che il Pil al netto di quella componente della domanda che sono gli investimenti residenziali cambia leggermente la classifica dell’attività economica per quel periodo: l’economia italiana cresce leggermente meno della media Eurozona, ma conserva un vantaggio di crescita rispetto a Germania e Francia. Segno, questo, che rimane il cambiamento di passo rispetto ai lunghi decenni dell’affanno. Segno, questo, che il passo dell’economia è davvero cambiato, e ha bisogno di essere protetto per gli anni a venire.


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