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Una manifestazione della Cgil in Calabria

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Stipendi più bassi del 2008: Italia ultima del G20. Il report dell’Ilo. Rispetto al 2008 il potere di acquisto è calato di oltre l’8%. Le retribuzioni hanno retto meglio in alcune aree del Sud


Secondo il Rapporto annuale dell’International Labour Organisation appena pubblicato, i salari reali sono diminuiti in Italia a causa dell’impennata dell’inflazione nel biennio 2022-2023. A subire la perdita maggiore del potere d’acquisto sono stati i lavoratori a basso reddito, poiché sono quelli che spendono la parte più consistente del loro salario in beni e servizi di prima necessità come l’alloggio, l’energia e i beni alimentari.

STIPENDI, IL REPORT DELL’ILO


Il lavoratori a basso reddito – si legge nel rapporto ILO – sono i più colpiti dall’impatto dell’inflazione sui beni di prima necessità. Nel caso dell’Italia, dove non esiste un salario minimo legale, i salari vengono fissati attraverso la contrattazione collettiva. Le retribuzioni orarie nominali calcolate su una media dei Ccnl negli ultimi 10 anni sono aumentate del 15%. La situazione si ribalta se analizziamo il potete d’acquisto dei lavoratori. In termini reali le retribuzioni hanno subito una perdita del 5% e prodotto un calo del reddito disponibile.

IL RAPPORTO DELL’ISTITUTO TAGLIACARNE


Sui redditi più in generale si sofferma il Rapporto annuale dell’Istituto Tagliacarne che analizza i risultati a livello provinciale. La distribuzione del reddito risulta meno sperequata rispetto alla produzione dei beni e servizi. Se il redditi pro capite nel Mezzogiorno resta ancora inferiore di circa un quarto rispetto al Paese, qualche spiraglio di recupero emerge. La pubblicazione della graduatoria sul reddito disponibile delle famiglie da parte dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne si presta ad alcune considerazioni generali sulla ripartizione territoriale del reddito, con specifico riferimento alle realtà meridionali.


Il primo dato che emerge è che la distribuzione del reddito familiare è meno sperequata rispetto alla produzione dei beni e servizi: la distanza in termini pro-capite tra la prima e l’ultima provincia italiana, che nel caso del valore aggiunto risulta pari a 3,6 volte, mentre si riduce a 2,4 volte nel secondo caso.

L’ANALISI


Se le prime cinque province per valore aggiunto (Milano, Roma, Torino, Napoli e Brescia) concentrano il 30% della produzione nazionale, le prime cinque per reddito delle famiglie (Milano, Roma, Torino, Napoli, Bologna) scendono al 26,6%. L’indice territoriale di concentrazione di Gini, che per il valore aggiunto è 0,51, si riduce a 0,48 nel caso dei redditi delle famiglie. Resta comunque il dato che il reddito disponibile pro-capite al Sud è di quasi un quarto inferiore a quello medio del Paese. Non è una novità che la produzione sia più concentrata rispetto al potere di acquisto delle famiglie, ma l’analisi dell’Istituto Tagliacarne consente di entrare dentro le principali poste di composizione del reddito disponibile, in particolare per i redditi da lavoro dipendente e quelli dovuti alle prestazioni sociali.


È noto che le prestazioni sociali svolgono un ruolo perequativo. Notiamo tuttavia che se al Sud questa posta continua ad incidere più che nel resto del Paese (40% contro il 33%), nel periodo 2021-23 al Meridione una contrazione di 1,7 punti percentuali e in quest’area del paese la componente è cresciuta meno rispetto al resto dell’Italia.


Se osserviamo gli andamenti territoriali delle prestazioni sociali vediamo che – delle prime dieci province per tassi di incremento – ben sette appartengono al Nord (Trento, Bolzano, Valle d’Aosta, Savona, Pordenone, Rimini e Udine), mentre nelle ultime dieci ben sette sono meridionali (Benevento, Siracusa, Caserta, Vibo Valentia, Napoli, Reggio Calabria e Caltanissetta). Insomma, la forbice del riequilibrio territoriale nel reddito disponibile su base provinciale viene attenuata sempre meno dalla voce delle prestazioni sociali. Le tendenze demografiche peggioreranno in senso opposto questo indicatore, per l’aumento della componente dovuta alle pensioni. Si sta chiudendo una lunga fase del meridionalismo che aveva costruito i suoi algoritmi per rallentare la divaricazione nelle diseguaglianze.

I REDDITI DA LAVORO DIPENDENTE


I redditi da lavoro dipendente, ossia le retribuzioni, invece hanno registrato un incremento in diverse province del Mezzogiorno: tra le prime dieci per tasso di aumento tra il 2021 e 2023 ce ne sono quattro meridionali (L’Aquila – che guida la graduatoria – Teramo, Agrigento e Siracusa).
In linea generale 20 province meridionali su 38 registrano una variazione delle retribuzioni superiore alla media nazionale. Da questo punto di vista quindi, sul versante delle famiglie, si avrebbe una indiretta conferma di quanto si va rilevando a partire dal dopo pandemia, ossia un certo dinamismo produttivo di diverse aree del Mezzogiorno, che si traduce anche sul versante delle retribuzioni.

LA DIMINUZIONE DEI SALARI REALI


Secondo il Rapporto annuale dell’International Labour Organisation appena pubblicato, i salari reali sono diminuiti in Italia a causa dell’impennata dell’inflazione nel biennio 2022-2023, ma a subire la perdita maggiore del potere d’acquisto sono stati i lavoratori a basso reddito, poiché sono quelli che spendono la parte più consistente del loro salario in beni e servizi di prima necessità come l’alloggio, l’energia e i beni alimentari.
Il lavoratori a basso reddito – si legge nel rapporto – sono i più colpiti dall’impatto dell’inflazione sui beni di prima necessità. Nel caso dell’Italia, dove non esiste un salario minimo legale, prosegue l’Ilo, i salari vengono fissati attraverso la contrattazione collettiva.

IL MEZZOGIORNO SI DIFENDE MEGLIO


Le retribuzioni orarie nominali calcolate su una media dei Ccnl negli ultimi 10 anni sono aumentate del 15%. I termini reali le retribuzioni hanno subito una perdita del 5% e prodotto un calo del potere d’acquisto dei lavoratori. In questo arretramento complessivo nazionale, il Mezzogiorno ha mostrato di difendersi meglio.
Certo, in 34 province del Sud continua a permanere una forte incidenza dei trasferimenti (superiore alla media nazionale) ma ci sono anche diversi segnali di una evoluzione della situazione che vanno nella direzione di modificare una narrazione che vuole il Sud come una economia staticamente ancorata ai trasferimenti pubblici di sostegno del reddito.
E fino a qui sembrerebbe che il bicchiere sia mezzo pieno, e dia il senso di una situazione in movimento.

Un dato che pare emergere da questa statistica è un ennesimo segnale di attardamento dell’Italia centrale, ossia di un pezzo di quei territori che fino all’inizio degli anni duemila si erano contraddistinti per un certo dinamismo imprenditoriale e per una situazione comunque di sviluppo intermedio che guardava verso l’alto: la variazione 2023-21 del reddito disponibile di tutta la ripartizione è inferiore a quella media del Mezzogiorno, con Toscana, Marche e Lazio che si segnalano per performances inferiore in termini di dati complessivi del reddito delle famiglie rispetto alla media del Sud e comunque per un dinamismo più basso di quello di Abruzzo, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.

IL PICCO INFLATTIVO


Se quindi anche sul versante del reddito nominale delle famiglie c’è una situazione territoriale in movimento, che modifica le geografie consolidate, una ulteriore riflessione va messa in chiaro con riferimento ai più ampi processi di redistribuzione del potere di acquisto reale.
Gli anni 2022 e 2023 sono stati caratterizzati da un picco inflattivo che, oltre a ridimensionare in generale i valori reali del reddito disponibile e delle retribuzioni, hanno fatto registrare anche un differente impatto territoriale.

LA DINAMICA DEL MEZZOGIORNO


Nel Mezzogiorno si sono determinati incrementi dei prezzi mediamente superiori rispetto a quelli del resto del paese, il che significa che anche gli aumenti retributivi di cui si è detto, se rappresentano un segnale di dinamismo in termini monetari, vengono poi sostanzialmente ridimensionati in termini reali, dalla maggiore perdita di potere di acquisto delle famiglie meridionali rispetto a quelle del resto del Paese, tenuto anche conto del fatto che comunque la struttura delle retribuzioni al Sud è mediamente inferiore di circa un 15% rispetto a quella media italiana.
Insomma, per inquadrare la complessiva dinamica del Mezzogiorno occorre evitare di perdere di vista le componenti strutturali presenti in modo chiaro, pur non tacendo i progressi congiunturali. Si tratta sempre di capire quale è il grandangolo che vogliamo osservare.

* Istituto Guglielmo Tagliacarne

** Università Mercatorum

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