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Fra due settimane l’appuntamento a Napoli con Feuromed organizzato dal nostro quotidiano Confronto sui grandi temi e criticità del Mediterraneo


Fra due settimane si apre a Napoli il secondo Festival Euromediterraneo di economia e devo essere sincero tutti noi che avevamo lavorato per dare compiutezza ai lavori dello scorso Festival non vediamo l’ora che si avvino i lavori di questo secondo appuntamento. Siamo infatti convinti che ci apprestiamo ad assistere ad un dibattito, ad un interessante confronto su cosa sia la “imprevedibilità” nella lettura di scenari che pensavamo ormai consolidati e lontani da possibili modifiche.

Comincio con una prima rivoluzionaria modifica geo – economica: i due punti di ingresso e di uscita dal Mediterraneo, cioè quelli che potremmo chiamare le due porte del teatro economico Mediterraneo: Suez e Gibilterra. Due riferimenti geografici, ripeto, due porte che oggi vivono una funzione che nessuno avrebbe potuto immaginare:
• Il canale di Suez praticamente colpito da un tragico crollo dei transiti, un crollo che mette in crisi, addirittura, l’intera economia egiziana che contava, in modo determinante, sugli introiti provenienti dal pedaggio delle navi in transito
• Gibilterra diventa sempre più un punto obbligato di uscita e di entrata delle navi nel Mediterraneo e rischia di subire un non facile fenomeno di affollamento
Un cambiamento dell’assetto geografico, un cambiamento sostanziale dell’intero impianto logistico, un cambiamento della offerta portuale che, nel tempo, aveva caratterizzato le varie evoluzioni delle realtà portuali. La causa del cambiamento è senza dubbio generata da un fenomeno esogeno come gli eventi bellici del Mar Rosso, del Libano, della Siria, dello Yemen e di Israele, ma la cosa che preoccupa di più è che questi eventi rischiano di non rendere temporanea la crisi che l’intero bacino sta vivendo.

Per capire quello che definisco uno dei veri drammi della logistica mondiale è utile leggere i vari atti del Festival Euromediterraneo di Napoli dello scorso anno e soffermarsi un attimo su quanto era emerso nel dibattito; in particolare era stato confermato che il Mediterraneo era un ambito a cui si rivolgevano, con grande interesse, tutti i Paesi europei ed era, al tempo stesso, un ambito obbligato per tutti coloro che intendevano entrare nel vasto sistema economico europeo. Ma, sempre a Napoli, era emersa una peculiarità di tale bacino: con il suo solo 1% nell’intero spazio marittimo del pianeta, il Mediterraneo era attraversato da oltre il 22% della movimentazione mondiale.
Era un dato che non solo faceva capire il ruolo strategico e la rilevanza logistica del Mediterraneo ma, al tempo stesso, denunciava quanto diventava rilevante e direi rivoluzionaria la serie di valichi che si stavano realizzando lungo il nostro arco alpino. In realtà non solo stavamo amplificando la osmosi tra il nostro Paese e l’Europa ma anche tra l’intero bacino del Mediterraneo e l’intero sistema terrestre europeo.
Sempre durante il dibattito era anche emerso che agli inizi degli anni ‘90, quando la globalizzazione era ancora agli esordi, il peso dei Paesi del G7 sull’economia mondiale era pari al 50,4 per cento e quello dei BRICS al 16,8. Alla fine del 2022 i relativi rapporti, secondo le previsioni del FMI erano, invece, pari a 29,89 e 32,12 per cento.

Ebbene in questa rivoluzione non solo economica ma soprattutto politica, il Mediterraneo aveva mantenuto invariabile e sempre determinante la sua incisività sulla percentuale dei transiti, sul suo ruolo di teatro economico. In realtà erano cambiati gli equilibri politici ed economici del mondo ma non era cambiato il ruolo e la dimensione strategica del Mediterraneo.
Sempre a Napoli era emerso che il nostro Paese, pur essendo geograficamente riferimento chiave di questo teatro logistico, non era stato in grado di far crescere la propria portualità; infatti, da ormai venti anni, la movimentazione nei nostri porti era sempre stata caratterizzata da due dati: risultavano movimentate globalmente annualmente circa 450 milioni di tonnellate e circa 10 milioni di container.
Mentre in soli 4 anni il porto di Algeciras era passato da un milione di container a 5 milioni, il porto di Valencia era passato da 2 milioni di container ad oltre 6 milioni, il porto del Pireo da 300.000 container, in soli tre anni, a 6 milioni; altrettanto era successo per altri porti come Damietta in Egitto, Haifa in Israele, Bar in Montenegro. In realtà in un mondo che stava praticamente cambiando in modo inimmaginabile il bacino del Mediterraneo manteneva, ripeto, il suo ruolo e la sua forza e noi, non avendo costruito una adeguata strategia gestionale ed infrastrutturale della nostra offerta portuale, rimanevamo solo spettatori del fenomeno e non, come sarebbe naturale, attori.

Per questo, sempre a Napoli si ribadì la urgenza di una riforma organica della nostra offerta portuale ed interportuale ed all’interno di tale riforma un primo obiettivo da traguardare, per spegnere questa anomala crisi, doveva essere quello di trasformare la gestione dei nostri impianti portuali in Società per Azioni. Società che avrebbero dovuto gestire sia la realtà portuale che quella interportuale strettamente interconnessa; avrebbero dovuto in realtà dare vita a veri HUB logistici in cui il privato avrebbe dovuto avere un ruolo chiave ed era emersa anche la esigenza che tali società potessero costruire appositi organismi gestionali con altre realtà portuali di Paesi della Unione Europea e di Paesi esterni alla Unione Europa in modo da ottimizzare al massimo le condizioni della offerta e col tempo dare vita addirittura ad un’unica offerta portuale dell’intero bacino.

Purtroppo non è partita alcuna riforma e, al tempo stesso, sono cambiate integralmente le condizioni strategiche possedute dall’intero bacino ed in modo particolare, nel breve periodo, si modificheranno le condizioni delle portualità presenti al suo interno. Certamente le varie proposte emerse dal Festival avrebbero fornito un valido contributo per superare questa pericolosa criticità e questo grazie proprio alle seguenti condizioni indicate:


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  1. Una elasticità gestionale delle varie realtà portuali ed interportuali attraverso l’autonomia finanziaria delle singole Società di gestione
  2. Un concreto coinvolgimento del privato nella gestione degli HUB; un coinvolgimento obbligato se si vuole ridimensionare il costo della infrastrutturazione da parte dello Stato
  3. L’avvio di possibili alleanze mirate alla costruzione di Società formate da distinti gestori di HUB sia nazionali che internazionali
  4. Una condivisione delle spese e la possibilità di accedere a nuovi Fondi comunitari ed internazionali
    Abbiamo perso un anno e in questo anno sono anche cambiate sostanzialmente le caratteristiche geo – economiche del Mediterraneo.
    Pertanto oggi devono essere i Popoli del Mediterraneo gli attori di questa riforma; infatti alla luce di quanto è successo in questi ultimi mesi il processo riformatore non può più essere effettuato da un singolo Stato. In realtà occorre dare vita a quella sintonia obbligata tra distinti HUB portuali ed interportuali, una sintonia basata sulla necessità di investire adeguate risorse nell’adeguamento degli impianti portuali in modo da consentire, solo a titolo di esempio, l’attracco a navi portacontainer che richiedano fondali superiori ai 18 metri.
    Occorre necessariamente una sinergia tra tutti gli operatori privati interessati alla vita del bacino. È finita, infatti, una concorrenza tra porti del Mediterraneo e porti del Nord Europa, siamo di fronte ad una rischiosa obbligata scelta: l’abbandono anno dopo anno del bacino del Mediterraneo per le navi provenienti dall’est asiatico. Molti diranno che questo è un approccio allarmistico perché siamo in presenza di una emergenza temporanea che sicuramente terminerà con la fine degli eventi bellici; rispondo a queste osservazioni ricordando che nella logistica “l’abitudine ad una condizione temporanea si trasforma quasi sempre in una abitudine stabile”.
    Mi fermo qui perché sono sicuro che questa tematica sarà sicuramente dibattuta ampiamente al II° Festival Euromediterraneo.
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Maria Assunta Castellano

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