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Pil: famiglie e imprese hanno ancora voglia di spendere. E anche la produzione potrebbe tener dietro alla domanda se solo ci fosse più fiducia
IL PIL non basta… Questa affermazione, cara a quanti (giustamente) affermano che il Pil – come disse Robert Kennedy – «misura tutto…eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta», richiede una precisazione e un completamento. La precisazione – come già osservato su queste colonne il 18 novembre – sta nel fatto che anche le misure del “benessere equo e sostenibile” per famiglie e imprese sono in ultima analisi strettamente correlate al Pil: un Paese più ricco ha anche più risorse per combattere l’inquinamento e altre magagne della “insostenibilità”.
Il completamento sta nel fatto che il Pil – cioè la cifra finale della contabilità nazionale, che riassume tante altre dimensioni dei conti – non basta per capire cosa succede nell’economia. Bisogna scavare e vedere come si arriva a quel numero. E questo è specialmente importante adesso, con una pandemia – e una affannosa risposta della politica economica alle devastazioni del Covid – che ha disturbato il cammino dell’economia italiana (e, naturalmente, non solo italiana).
La stima preliminare del Pil italiano nel terzo trimestre, rilasciata dall’Istat a fine ottobre, dava una variazione nulla. La seconda stima migliora leggermente, dallo zero allo 0.1. Ma non è questo il dato più interessante. La seconda stima dà misure dettagliate (come si dice, “il diavolo è nei dettagli”) delle varie componenti della domanda (di famiglie e di imprese), ed è questa lettura del Pil che riserva alcune sorprese. Si è detto che i “dettagli” sono specialmente importanti ora, e le variabili da tener d’occhio sono due: le scorte e le costruzioni.
Cominciamo dalle prime: ogni analisi congiunturale dovrebbe tener conto della variabile scorte – la più piccola delle componenti del Pil, ma la più volatile: per fare un esempio, nell’ultimo trimestre del 2022 il Pil italiano era leggermente calato (-0,2%), ma solo a causa di un contributo fortemente negativo delle scorte: astraendo da quelle, come si vede dai calcoli in tabella, il Pil sarebbe invece aumentato dello 0,5%. Che cosa è successo dagli anni della pandemia in poi, che ha influenzato il cammino delle scorte? Come si vede dalla tabella, negli ultimi quattro trimestri le scorte sono sempre diminuite (bisogna però precisare – la trama si infittisce – che, per quel che riguarda il contributo della variazione delle scorte alla crescita, quello che conta è la ‘variazione della variazione: per esempio, se nel trimestre passato le scorte sono diminuite di 9 miliardi di euro, e questo trimestre sono ancora diminuite di altri 5 miliardi, il contributo è positivo, e pari a 4 miliardi). Perché le scorte diminuiscono? Per l’incertezza sulle prospettive dell’economia. E di incertezza ne abbiamo avute a palate, fra pandemia prima e guerre poi…. Allora, se c’è incertezza, le imprese preferiscono ridurre la produzione e vendere smaltendo le scorte.
L’altro fattore che ha influenzato gli alti e bassi del Pil sono i famosi (o famigerati) superbonus edilizi, che hanno portato a grossi investimenti in costruzioni, e altrettanto rapide cadute una volta che gli effetti si si siano andati esaurendo. L’analisi delle componenti illustrata in tabella (alcune delle quali ricavabili solo indirettamente dai dati Istat) è utile per isolare i punti di debolezza e di (relativa) forza: se vogliamo guardare al Pil del settore privato (escludendo i consumi pubblici) ed escludendo ulteriormente le cifre ballerine degli investimenti in costruzioni, possiamo seguire l’andamento descritto nella tabella: per esempio, nel secondo trimestre la caduta del Pil complessivo fu pari allo -0,4%; ma, togliendo quelle due componenti della domanda, il segno si ribalta, e diventa un +0,3%. Per il trimestre più recente quell’esercizio non fa molta differenza, perché consumi pubblici e costruzioni sono variati di poco.
Quello che fa una grossa differenza è invece l’impatto delle scorte: il Pil, come detto sopra, è appena cresciuto di un più che modesto 0,1%, ma, prescindendo dalla variazione delle scorte (che ha tolto 1,3 punti di Pil), sarebbe cresciuto dell’1,4%. Quello che conta, per il benessere materiale degli italiani, è la domanda interna: consumi e investimenti fissi (domanda ‘finale’: differisce dalla domanda totale, che include anche la variazione delle scorte).
Ebbene, la domanda finale interna è aumentata, nel trimestre passato, dello 0,5%. In termini di domanda totale, invece, la variazione nel trimestre diventa negativa: -0,8%. A soccorrere il Pil arriva, fortunatamente, il contributo delle esportazioni nette, pari a quasi un punto di Pil. La conclusione? Famiglie e imprese hanno ancora voglia di spendere. E anche l’offerta – la produzione – potrebbe tener dietro un giorno alla domanda se solo ci fosse più fiducia…
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