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L’intervista all’economista Lorenzo Codogno, visiting professor alla London School of Economics sulla situazione economica dell’Italia: “Ora riforme e innovazione”


L’economia del Vecchio Continente è ferma. Anche l’Italia frena e il mercato del lavoro segna la prima battuta d’arresto. Intanto il risiko bancario, con le nozze, “contrastate”, tra Mps e Mediobanca occupa la scena finanziaria italiana. Mentre, tornando ad allargare il quadro, i dazi annunciati da Donald Trump rischiano di zavorrare ulteriormente la ripartenza. Ne parliamo con Lorenzo Codogno, visiting professor alla London School of Economics e fondatore e capo economista della sua società di consulenza LC Macro Advisors Ltd.

“Per quanto riguarda l’Europa bisogna distinguere tra problemi ciclici e strutturali. Il forte shock provocato dal Covid e dall’invasione russa dell’Ucraina ha provocato la fiammata dell’inflazione che ha costretto la Bce ad alzare i tassi e molti governi a spendere governi molti quattrini. Ora stiamo gradualmente tornando a una situazione di normalità. Poi ci sono i problemi strutturali: il costo dell’energia è rimasto alto e probabilmente resterà tale perché le fonti alternative di approvvigionamento dell’energia sono più costose rispetto al gas russo”.

“E’ quindi un problema strutturale che ha delle ripercussioni sull’industria europea. In secondo luogo, l’automotive sta soffrendo molto per la concorrenza cinese, il settore è in crisi e l’economia europea ne registra le conseguenze. C’è poi una crisi del settore tecnologico: c’è una grande effervescenza a livello internazionale sull’intelligenza artificiale e sull’innovazione tecnologica e l’Europa è di fatto fuori. C’è una forte competizione Cina-Stati Uniti e l’Europa non tocca palla. La iniziative avviate dalla Commissione europea su più fronti potrebbero offrire sbocchi importanti, ma ci vorrà del tempo. E’ una fase difficile. Siamo in mezzo al guado, con una situazione interazione molto complicata. E le politiche economiche di Trump potrebbero portare shock economici non piccoli, soprattutto nell’ambito del commercio internazionale”.

Con quali ricadute sul sistema economico europeo?

“I danni potrebbero essere tanti. Se l’economia americana riparte, come sembra, – per effetto anche di un ritorno di fiducia, grandi investimenti in tecnologia – nel breve potrebbe esserci anche qualche beneficio. Ma l’aumento delle tariffe nel medio periodo avrebbe un impatto negativo per l’Europa, perché è un’economia molto aperta e molto dipendente dall’estero per materie prime, energie, etc”.

Quale potrebbe essere l’impatto sul nostro Paese?

“L’Italia è particolarmente esposta perché è il secondo esportatore europeo negli Usadopo la Germania, e potrebbe soffrire se il mondo diventasse più frammentato e i flussi commerciali si riducessero. Non solo. Trump potrebbe fare stimolo fiscale per gli Stati Uniti, spingere verso l’alto i tassi americani e questo avrebbe conseguenze anche per l’Europa, soprattutto per l’Italia che ha un alto debito pubblico. Potrebbe far male anche attraverso il cambio perché il cosiddetto Trump trade produrrà un rafforzamento del dollaro e un indebolimento dell’euro che potrebbe portare maggiore inflazione. Sono tanti i canali attraverso i quali potrebbe dispiegarsi l’effetto Trump in Europa e in Italia”.

In questo contesto crede che il Green Deal europeo abbia bisogno di un tagliando?

“L’Europa ha fatto una scelta di campo sulla transizione green e credo che non tornerà indietro. Cambierà però la strategia per attuarla perché le scelte fatte si sono rivelate eccessivamente rigide o sbagliate e occorrerà ripensare tutto”.

L’Europa è in stagnazione, e anche l’Italia frena: nel IV trimestre la crescita si è fermata. Il Pil nel 2024 segna +0,5%, lontano del +1% previsto dal Mef nel Psb. E non lascia alcuna eredità al 2025: la crescita acquisita è pari a zero.

“Il 2024 secondo i dati dell’Istat chiude allo 0,5% in termini destagionalizzati, ma in termini grezzi, che è quello che conta quando si guardano le variazioni annuali, sarà 0,7%, quindi non così negativo. Il 2025 non si apre tanto male nonostante la crescita sia un po’ in difficoltà in tutta l’Europa: il manifatturiero e gli investimenti privati sono ancora deboli, ma andiamo verso un graduale allentamento della politica monetaria che favorirà consumi e investimenti, mentre l’inflazione è ormai quasi arrivata all’obiettivo della Bce e questo col tempo dovrebbe aiutare. Non mi aspetto una grande performance per quest’anno, la mia stima è 0,8%, al di sotto di quella del governo, ma si tratta di una situazione di crescita modesta, non di recessione o stagnazione”.

Sarà necessario aggiustare il tiro sui conti pubblici?

“Non penso perché le proiezioni del Mef sono state molto caute. Il governo, intanto, risparmierà sulla spesa per gli interessi. La ripresa, dal covid in poi, è stata molto ricca di posti lavoro e questo ha aiutato tanto le entrate fiscali e l’economia. L’emersione dell’evasione, certificata dall’Istat, sta migliorando le entrare. Sul fronte delle spese, l’inflazione di fatto ha favorito il governo perché molte avevano prezzi già fissati, mentre per quanto riguarda le entrate il governo se da un lato ha ridotto alcune aliquote fiscali, dall’altro non le ha pienamente adeguate al rialzo dell’inflazione e di fatto i contribuenti italiani hanno pagato più tasse, si vede nei numeri, e la pressione fiscale è su livelli molto elevati. Tutto questo ha aiutato le finanze pubbliche”

“Questo aiuto verrà gradualmente meno nel 2025 ma finora le cose sono andate bene. Mi aspetto che i conti pubblici vadano meglio delle attese, meglio del 3,8% indicato dal governo e anche nel 2025 andranno meglio del previsto, si avvicineranno o scenderanno al di sotto del 3% di deficit pubblico. Bisognerà vedere come andrà la crescita economica in futuro, quando si saranno esaurite le spinte temporanee, soprattutto quella del Pnrr agli investimenti pubblici”.

Quali leve occorrerebbe attivare?

“Bisognerebbe mettere in campo le riforme, alcune sono state fatte nell’ambito del Pnrr, ma. Dalla giustizia civile al mercato del lavoro, fino alla pubblica amministrazione, sono tanti gli ambiti in cui servirebbero grandi riforme per rilanciare l’economia dell’Italia, ma non mi sembra di vedere questa grande volontà riformatrice”.

La frenata dell’economia comincia a riflettersi sul mercato del lavoro.

“L’Italia ha avuto performance incredibile che si spiega con vari fattori. In primo luogo, il Pil è stato forse in parte sottovalutato perché con il Superbonus l’stat ha fatto un po’ fatica a registrare tutta la crescita, pertanto non mi stupirebbe in futuro una revisione al rialzo del Pil nominale, e questo spiegherebbe anche l’andamento del mercato del lavoro. In secondo luogo, l’economia è ripartita con settori con bassa produttività ma con alta intensità del lavoro, come il turismo e le costruzioni, e questo ha aiutato parecchio l’occupazione.

Inoltre, non c’è stato un pieno aggiustamento dei salari all’inflazione e questo ha reso più conveniente il lavoro rispetto al capitale. Ora siamo ad un punto critico, perché il mercato del lavoro non può continuare a questi ritmi senza senza una ripresa dell’economia. Le imprese hanno compresso i margini di profitto per un periodo abbastanza lungo e non possono continuare a farlo, sono pertanto in una situazione in cui devono cominciare a licenziare i lavoratori. Si potrebbero quindi creare affetti di discontinuità e un deterioramento repentino del mercato del lavoro. Non penso sia lo scenario di base, ma un po’ di rischi li vedo”.

La bassa produttività è resta il tallone d’Achille del sistema italiano: nel 2023 è scesa a quota -2,5%.

“Purtroppo penso che anche nel 2024 non sarà tanto migliore perché c’è stato un forte aumento dell’occupazione soprattutto nei settori meno produttivi dell’economia, come il turismo e costruzioni. Probabilmente abbiamo già toccato il minimo della produttività e si vedrà un miglioramento. Ma occorre mettere in campo una migliore organizzazione del lavoro, innovazione e tecnologia”.

Il settore bancario è in fermento, è in atto un risiko finanziario.

“La grande tendenza europea alle fusioni e acquisizioni di fatto non è ancora partita perché ci sono ancora vincoli sia politici nazionali che di regolamentazione. Partirà, ma ci vorrà del tempo. Per il momento è in atto un tentativo di consolidamento a livello nazionale per preparare grandi gruppi nazionali alla sfida europea. In Italia le ultime operazioni non sempre, a mio avviso, sono legate al desiderio di aumentare il valore per gli azionisti, ma si giustificano a volte con ottiche politiche o parrocchiali, o interessi specifici di alcuni azionisti. E’ molto difficile parlare di un processo che in Italia sia genuino e preparatorio della fase che a un certo punto partirà a livello europeo”

Ma come vede l’operazione Mps-Mediobanca? Può funzionare il connubio tra una banca retail e una banca d’investimenti?

“Faccio fatica a vedere il beneficio per gli azionisti. Ho la sensazione che questa operazione sia perlopiù guidata da interessi politici o specifici di alcuni azionisti. Vedremo come andrà a finire. Ma rimango scettico”.

Che ruolo sta giocando il governo in questa partita?

“In teoria il governo è fuori, ha parlato di un’operazione di mercato. Ma mi sembra di capire che stia decisamente partecipando a questo processo, supportando una parte del mercato rispetto a un’altra. Rimango scettico su questa operazione, però è indubbio che operatori di mercato che non hanno la massa critica in questo momento e che non sono nello stesso tempo operatore di nicchia, sono destinati a scomparire. Il processo di acquisizione e fusione è propedeutico per questa grande trasformazione che verrà in Europa”.


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