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Emergenza idrica al Sud, dal 2015 la volontà di dare consistenza tecnica e copertura finanziaria ai progetti si è fermata. Ed è nata una vera corsa ad anticipare, ma solo mediaticamente, piani e programmi
Forse è arrivato il momento per fare il punto su una grave emergenza che il Paese, insieme a tante altre emergenze, vive praticamente da sempre: mi riferisco all’esigenza di disporre di un “Piano di gestione delle acque”, e forse sarebbe bene anche riaccendere la nostra memoria storica per ricordare un’apposita azione portata avanti nel nostro Paese molti anni fa.
EMERGENZA IDRICA AL SUD, GLI OBIETTIVI STRATEGICI DEL PROGRAMMA
Correva l’anno 2000, il governo Berlusconi si era insediato nel mese di maggio e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti era il professor Pietro Lunardi. Presso il Ministero si avviò subito un incontro sistematico con tutte le Amministrazioni regionali per mettere a punto il disegno di legge definito poi “Legge Obiettivo” e al tempo stesso per redigere il Pis (Programma delle infrastrutture strategiche) che avrebbe fatto parte integrante di tale norma.
Tra gli obiettivi strategici del Programma fu inserito quello relativo a una delle più grandi emergenze del Sud: la disponibilità delle risorse idriche nel Mezzogiorno (ricordo che in alcuni Comuni della Sicilia l’acqua arrivava negli appartamenti solo due volte a settimana per quattro ore).
Ebbene, con le otto Regioni del Sud si definirono le opere più urgenti e si assegnarono le relative esigenze finanziarie. Il programma, definito “Schemi Idrici del Sud” per un importo globale di 4.641.398.000 fu inserito nella legge 443/2001 (Legge Obiettivo) e avviato nel 2002 a realizzazione. Ricordo che alla fine del 2014 erano stati impegnati e avviati a realizzazione interventi per circa due miliardi di euro.
Questa, ripeto, è una storia che abbiamo dimenticato e continuiamo a rincorrere Piani e Programmi senza cercare, da un lato, di completare quel quadro programmatico definito nel 2001, e dall’altro di ripetere, metodologicamente, per l’intero Paese l’esperienza concreta e adeguatamente strutturata portata avanti d’intesa con le Regioni.
Invece dal 2015 questa carica di pragmatismo e di volontà di dare una consistenza tecnica e una copertura finanziaria si è praticamente fermata. Ed è nata una vera corsa ad anticipare, solo mediaticamente, dei piani e dei programmi tutti mirati a costruire un Piano di gestione delle acque.
DOCCIA GELATA NEL 2018
Se leggiamo la miriade di atti programmatici relativi a una simile tematica, troviamo un approccio davvero entusiasmante e, al tempo stesso, carico di convinta volontà a risolvere una simile criticità. Per esempio, in più atti possiamo leggere dichiarazioni che attestano: il Piano di gestione delle acque, oltre che un esempio di pianificazione strategica, che la direttiva europea 2000/60 prevede debba essere redatto e aggiornato ogni sei anni, rappresenta un’opportunità per coinvolgere i tanti portatori di interesse istituzionali, realtà associative e singoli cittadini, in un percorso di valorizzazione e tutela della risorsa idrica, dei nostri fiumi, al fine di migliorarne le condizioni di uso e la qualità, in un’ottica non di mera preservazione dell’esistente, bensì di fruizione sostenibile.
Però a questo entusiasmo corrisponde una deludente azione del governo; a tale proposito è utile leggere un interessante intervento prodotto dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti nel 2018 in cui si precisava: «In Italia c’è disponibilità di acqua, ma anche molta dispersione e un sottoutilizzo delle dighe, che rischiano di perdere progressivamente la propria capacità di invaso autorizzato e quindi di risorsa idrica al servizio della collettività. Di fronte a questo scenario, il Ministero ha avviato un programma di interventi del valore economico pari a 294 milioni di euro per l’incremento delle condizioni di sicurezza di 101 dighe a uso irriguo e/o potabile sparse sul territorio nazionale, di cui ben 79 si trovano al Sud».
EMERGENZA IDRICA AL SUD NEL 2018 APPROVATO IL PIANO NAZIONALE INVASI
Con la legge di Bilancio 2018, inoltre, fu approvato il Piano nazionale invasi. Piano mirato al risparmio di acqua negli usi agricoli e civili, nonché per interventi volti a contrastare le perdite delle reti degli acquedotti, con uno stanziamento di 50 milioni di euro annui dal 2018 al 2022. In sostanza il governo del 2018, il governo Conte 1, avviò l’indifendibile fase degli annunci e degli impegni programmatici senza avviare concretamente nulla, ma, cosa ancor più grave, invocando risorse ridicole quali i primi richiamati 50 milioni di euro.
Eppure, se leggete le premesse degli ipotetici Piani scoprite che si parte da un dato confermato e più volte analizzato da più organismi: nel nostro Paese sono necessari investimenti per oltre 60 miliardi di euro nei prossimi anni (con uno sforzo di circa 5 miliardi all’anno, una volta a regime) per rinnovare le infrastrutture, adeguare gli impianti alle normative europee sull’inquinamento e ridurre le perdite.
EMERGENZA IDRICA, PER IL SUD 4,5 MILIARDI DI EURO
Questi dati li conosciamo ormai tutti e sistematicamente vengono ripetuti sia nelle riunioni istituzionali dei vari dicasteri competenti, sia nelle riunioni ufficiali della Conferenza Stato-Regioni.
Quindi è inutile continuare a raccontare quadri programmatici e ipotesi progettuali senza seguire l’azione organica e concreta seguita dalla legge Obiettivo, in cui, almeno per il Mezzogiorno, si sono identificate le emergenze di prima fase, si sono condivisi gli atti programmatici con le Regioni nel rispetto dell’articolo 117 della Costituzione e si è garantita, solo per il Sud, una disponibilità di oltre 4,5 miliardi di euro.
Ripeto: deve cambiare integralmente l’approccio con questa grave emergenza e bisogna, una volta per tutte, smetterla di offrire assicurazioni sull’immediata attivazione delle scelte decise quando ormai da quasi dieci anni si tratta solo di impegni privi di consistenza procedurale e di copertura.
Sappiamo che, se si seguisse lo stesso codice comportamentale seguito per le otto Regioni del Paese, scopriremmo che le esigenze finanziarie necessarie supererebbero la soglia finanziaria di 12 miliardi di euro e, come ripeto sistematicamente, se si vuole attuare concretamente un misurabile e concreto Piano di gestione delle acque diventa obbligatorio inserire, nella prossima legge di Stabilità, una norma che assicuri l’utilizzo di una percentuale fissa del Pil per realizzare il quadro degli interventi inseriti nell’apposito Piano di gestione delle acque.
Nel 2001 le Regioni, nella Conferenza Stato-Regioni, dissero chiaramente, attraverso lo strumento dell’Intesa quadro Stato-Regioni, che un simile modello procedurale conteneva tutte le clausole per superare possibili ripensamenti o il rinvio nella cantierizzazione delle scelte.
RISCHI DI DANNI IRREVERSIBILI
Per cui, avendo praticamente dopo 23 anni, riscoperto questa esperienza e avendo preso atto, ancora una volta, della follia nella mancata continuità realizzativa, spero che governo e Parlamento si impegnino a:
- Riattivare l’operazione avviata e realizzata solo in parte.
- Inserire nella legge di Stabilità 2025 la norma che assicuri una quota fissa del Pil per la copertura delle opere del Piano di gestione delle acque.
- Inserire sin dal Documento di economia e finanza, da sottoporre al Parlamento il prossimo 15 aprile, una chiara e motivata proposta da cui si evincano non genericamente, ma in modo mirato, le finalità e le coperture del Piano.
Spero che questo governo metta fine alla fase delle promesse, alla fase degli annunci, alla fase delle edizioni ormai quasi mensili dei Contratti di programma. Con l’esigenza di risorse idriche per un Paese industrialmente avanzato come il nostro e con una agricoltura determinante nella crescita socio economica non si scherza, perché una possibile rischiosa miopia finirebbe per produrre un danno irreversibile al nostro sistema socio economico.
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