Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti
9 minuti per la letturaÈ UNA manovra che definirei senza dubbio “fredda”, cioè priva, almeno per quanto concerne le infrastrutture e la ottimizzazione dei processi logistici, di una strategia con un respiro di lungo e medio periodo; lo stesso articolo che prevede la copertura sul Ponte sullo Stretto non possiamo definirlo un fatto nuovo in quanto, sin dal mese di maggio scorso, era presente già in una apposita norma attraverso la quale si sono definite tutte le procedure e tutte le condizioni mirate a riattivare un’opera che, a tutti gli effetti, rimane uno degli anelli mancanti dell’assetto comunitario.
Quindi nella Legge di Stabilità troviamo solo la conferma di una volontà e di una decisione già presa e definita. Forse non era possibile aggiungere, in questo momento storico non facile, altro al disegno di Legge di Stabilità, tuttavia non avendolo fatto sarebbe bene aprire subito un confronto non solo sulla manovra, ma proprio su quei punti che nel 2024 dovranno, quanto meno, essere affrontati programmaticamente e, possibilmente, essere adeguatamente supportati da adeguati provvedimenti e una buona strategia. Allora tento di elencare quelle aree tematiche che non avendo trovato giusta collocazione nella Legge di Stabilità dovranno essere adeguatamente inserite o in provvedimenti collegati alla stessa manovra o diventare occasione per una strategia di messa a punto di strumenti riformatori sempre nel comparto delle infrastrutture. In questo approccio faccio anche un’autocritica: forse è giusto che l’attuale disegno di Legge di Stabilità si limiti essenzialmente alla definizione di provvedimenti di tipo prettamente finanziario, purtroppo spesso la manovra aveva aggregato sistematicamente norme non coerenti con le finalità dello stesso strumento; quindi accettando quella che ho definito “freddezza” del disegno di legge cerco di elencare quei provvedimenti riformatori e di ampio respiro che dovrebbero, addirittura, nel primo semestre del 2024 caratterizzare le attività del Governo almeno per quanto concerne il comparto delle infrastrutture e della offerta logistica.
Molti diranno che nel primo semestre del 2024 saremo in piena campagna elettorale per la nomina del nuovo Parlamento europeo e, quindi, un simile arco temporale diventa poco adatto a tessere strumenti normativi e una strategia per la manovra che hanno bisogno di un confronto aperto e al tempo stesso costruttivo e non esasperato da pregiudizi consolidati. Ma, a mio avviso, proprio il clima di una campagna elettorale europea, cioè di una campagna che dovrà prospettare chiari rifermenti normativi e scelte che necessariamente dovranno poi trovare riscontro operativo e funzionale anche nel consesso comunitario, penso sia una occasione felice perché i punti che prospetterò di seguito siano finalizzati ad una adeguata manovra di interazione con possibili scelte di strategia a scala comunitaria.
Pertanto le aree tematiche che è necessario dibattere e, soprattutto, definire operativamente sono:
1. La esclusione dal debito pubblico delle risorse assegnate alla realizzazione delle opere infrastrutturali ubicate sulle Reti Trans European Network (TEN – T). Come più volte ricordato la infrastrutturazione di assi ferroviari o stradali ubicati su uno dei nove Corridoi comunitari o la realizzazione ed il riassetto funzionale di porti ed interporti sono una strategia che non può essere interpretata come un arricchimento infrastrutturale di un’area regionale o di un singolo Paese ma, a tutti gli effetti, è una manovra che valorizza il bene comune dell’intera Unione Europea. Da oltre venti anni (la prima richiesta è stata fatta nel 2002) l’Ecofin ha sempre non condiviso simili richieste pervenute da quasi tutti gli Stati della Unione Europea ed esclusa la decisione del 2014 in cui non c’è stata contrarietà alla proposta avanzata dal nostro Paese e condivisa da tutti i Paesi della Unione Europea, ma solo la necessità di un “articolato ed ampio approfondimento”, finora non si è riusciti a definire una manovra, una strategia, un codice comportamentale che portasse fuori dal debito pubblico le risorse destinate ad opere di pieno interesse della Unione Europea. Devo solo ricordare che dal 2005 con la prima approvazione organica delle Reti TEN – T l’Italia ha già speso risorse, legate al proprio bilancio, per opere ubicate sulle Reti TEN – T, pari a 276 miliardi di euro. Questo interessante tema necessariamente deve essere oggetto di confronto proprio in concomitanza con la campagna elettorale europea.
2. Varare una norma che fissa sistematicamente in occasione del varo della Legge di Stabilità una quota percentuale del Prodotto Interno Lordo (dall’1,5 al 2%), da destinare ad investimenti di infrastrutturazione organica del territorio. Una simile norma oltre a garantire un volano certo per il riassetto idrogeologico del Paese, consentirebbe anche l’immediato coinvolgimento di capitali privati nel processo di infrastrutturazione del Paese in quanto i vari “project financing” o le possibili forme caratterizzate dal “canone di disponibilità” troverebbero una misurabile certezza nella disponibilità di risorse pubbliche. Solo così potrebbero prendere corpo forme di Partenariato Pubblico Privato che, invece, allo stato attuale, si limitano, nel migliore dei casi, alla fase legata alla sottoscrizione di Memorandum Of Understanding. Ma una certezza di disponibilità nel tempo, è una strategia che consente anche la manovra di redazione di strumenti programmatici di medio e lungo periodo e, soprattutto, evita la triste immagine annuale di pellegrinaggio dei vari titolari dei dicasteri verso il ministro dell’Economia e delle Finanze per ottenere adeguate assegnazioni per l’approvazione di proposte avanzate da ognuno di loro
3. La riforma della offerta portuale ed interportuale, mirata ad un rilancio organico di un comparto che partecipa per oltre il 12% nella formazione del Pil In una mia audizione alla Commissione Trasporti della Camera ho avuto modo di prospettare le seguenti ipotesi propositive:
- L’autonomia finanziaria vera e non teorica come quella indicata nell’articolo 18 bis della Legge 84/94 (Autonomia finanziaria delle Autorità di sistema portuale e finanziamento della realizzazione di opere nei porti), addirittura invocata come obiettivo essenziale ma mai reso possibile.
- La trasformazione in Società per Azioni dei singoli sistemi portuali; Società con partecipazione pubblica dominante. Società per Azioni non per la sola gestione dell’impianto portuale ma per l’intero sistema logistico (porto, interporto, centro di aggregazione delle merci e centro mercato).
- Un ritorno alla logica del Piano Generale dei Trasporti, cioè solo 7 Sistemi portuali.
- Identificazione delle reti di integrazione (ferroviarie e stradali) con i nodi logistici e ricorso a forme di Partenariato Pubblico Privato (PPP)
- Dare un ruolo chiave alla portualità nella definizione del nuovo documento strategico delle Reti Trans European Network (TEN – T) in corso di definizione. Un ruolo che recuperi la volontà di Loyola De Palacio di coinvolgere in modo organico anche le portualità di Paesi non interni alla Unione Europea ma ubicati al contorno del bacino del Mediterraneo e del Mar Nero.
- Avviare davvero un processo di digitalizzazione dell’intero sistema logistico nazionale dando alla portualità un ruolo ed una funzione cardine. Siamo stati antesignani con il VTS (Vessel Traffic Service) non possiamo essere oggi da meno.
- Proporre e identificare specifici provvedimenti per rendere possibile la funzione strategica di porti transhipment per Cagliari, Augusta e Taranto.
4. Una nuova logica nella costruzione dei vari Fondi comunitari mirata ad una rivisitazione del Fondo di Sviluppo e Coesione in Programmi Operativi Nazionali (PON) e Programmi Operativi Regionali (POR). Senza dubbio non possiamo incrinare o mettere in dubbio il Titolo V della Costituzione ma forse sarebbe opportuno evitare che un atto programmatico, finalizzato per oltre l’85% per interventi nel Mezzogiorno del Paese, sia definito ed attuato in modo disorganico e seguendo la logica di gratuite autonomie locali e, al tempo stesso, è miope che i PON siano vissuti e concepiti come atti programmatici estranei a precise linee strategiche regionali. Penso che, per una serie di motivi, questa area tematica sia quella più difficile ed al tempo stesso quella che necessariamente dovrà trovare proprio nella Unione Europea la sede più adatta per la messa a punto di apposite Linee guida da far rispettare a tutti i Mezzogiorni della Comunità. Sicuramente un cambiamento di indirizzo eviterà di ritardare la spesa e quindi perdere, come nel caso del nostro Paese, risorse per oltre 80 miliardi di euro
5. Un nuovo rapporto con le Regioni, un nuovo rapporto tra Stato e gli Enti Locali alla luce di quanto già definito dalla Legge 234/2012 e applicato parzialmente. La Legge 24 dicembre 2012 n.234 recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea”, all’articolo 23, rubricato “Sessione europea della Conferenza Stato-città ed autonomie locali”, prevede una sessione speciale della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, dedicata alla trattazione degli aspetti delle politiche dell’Unione europea di interesse degli Enti locali. L’articolo 26 prevede, altresì, che la Conferenza Stato-città ed autonomie locali sia il tramite tra i Comuni, le Province, le Città metropolitane ed il presidente del Consiglio dei ministri o il ministro per gli Affari europei, a garanzia di una adeguata consultazione degli enti stessi ai fini della formazione della posizione dell’Italia in relazione alle attività dell’Unione europea che presentino specifica rilevanza negli ambiti di competenza degli enti locali. Forse questo tipo di confronti e di interazioni tra organo locale – Stato – Unione Europea richiede una rivisitazione sostanziale delle modalità con cui vengono costruite le proposte e, come successo ultimamente per la unificazione delle varie Zone Economiche Speciali (ZES) in una unica ZES, così sarebbe opportuno che le Regioni del Mezzogiorno, tutte caratterizzate da un unico comune denominatore quale quello relativo al reddito pro capite inferiore al 75% della media comunitaria, producessero e gestissero, in modo unitario, l’intero impegno programmatico, sia quello caratterizzato da risorse comunitarie che di quello coperto dal bilancio nazionale.
6. La redazione, per la prima volta nel Paese, di un Action Plan dei Servizi del trasporto pubblico con particolare attenzione ai sistemi metropolitani complessi. Da anni inseguiamo forme organizzative mirate alla ottimizzazione della mobilità delle persone e delle merci in ambito urbano e da anni scopriamo che:
- il costo da congestionamento in ambito urbano cresce sempre di più, nel 2020 (prima del Covid) aveva raggiunto un costo superiore a 4,2 miliardi di euro;
- il costo pagato dalle famiglie annualmente per il trasporto pubblico supera ormai i 22 miliardi di euro;
- la incidentalità in ambito urbano ha raggiunto la soglia del 48% della intera incidentalità nazionale;
- la movimentazione delle merci ed in genere i processi logistici in ambito urbano incidono sul valore del trasportato per una soglia superiore a 8 – 12 euro a tonnellata.
Da anni, quindi, cerchiamo, in tutti i modi, di reinventare integralmente questa non facile organizzazione e, forse in modo miope, finora abbiamo sottovalutato la possibilità di ricorrere ad un modello pianificatorio che affronti questa tematica coinvolgendo tutti i comparti che direttamente ed indirettamente caratterizzano le funzioni di una città piccola, media e grande. In realtà è l’assetto urbanistico, è la collocazione dei centri commerciali, è la ubicazione delle varie funzioni a caratterizzare i modelli della organizzazione dei processi logistici sia delle persone che delle merci.
Sei aree tematiche a cui se ne potranno aggiungere altre ma che, a mio avviso, vanno affrontate, come dicevo prima, subito per due distinti motivi: è utile che si riconosca a tali proposte una rilevanza comunitaria e quindi possa diventare anche un riferimento per il nuovo Parlamento europeo; ed è utile ricordare che dopo il 2024 mancheranno solo tre anni alla fine della legislatura e quindi non sarà facile portare a termine quadri programmatici di ampio respiro se non definiti sin dagli inizi del 2024.
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