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L’obiettivo di Donald Trump è di incassare attraverso i dazi seimila miliardi in dieci anni, la Ue e il resto del mondo preparano le contromisure intelligenti


Una cerimonia nel Giardino delle Rose della Casa Bianca, la prima del suo nuovo mandato. Alla presenza della squadra al completo della sua amministrazione, dei ministri che fanno quadrato attorno alla sua controversa strategia e a volte cercano di affinarla. L’obiettivo è quello di rastrellare fino a 6 mila miliardi in dieci anni e fermare la progressiva erosione della bilancia commerciale Usa.

Non un semplice ordine esecutivo, dunque, firmato sotto i riflettori ma al chiuso, nello Studio Ovale. Piuttosto un evento in pompa magna. Pensato per diventare una delle sue più influenti eredità. La portavoce Karoline Leavitt ha riassunto così il messaggio del presidente sul giro di vite nell’interscambio, che sfida critiche di economisti, appelli di leader stranieri e paure delle aziende. “Un piano di tariffe che disferà le pratiche sleali che hanno derubato il nostro Paese per decenni”.

Ha precisato che al momento non sono neppure previste esenzioni. Perché “è ora che un presidente attui un cambiamento storico per fare ciò che è giusto per il popolo americano”. È un piano, di sicuro, con una accurata coreografia per essere preso sul serio, fin dalla data prescelta. Quel 2 aprile che uno scaramantico Trump ha preferito al più tradizionale primo giorno del mese. Per scacciare anche solo il dubbio di esagerazioni o scherzi.

“Non volevo rischiare di non essere creduto”, ha spiegato ripetutamente descrivendo la sua strategia come “permanente” e i dazi come “la più bella parola nel vocabolario”. Ambiziosi sono sicuramente gli obiettivi evocati, molteplici e che stando a quanto emerso troveranno spazio nell’evento. Rafforzare il made in Usa, strappare concessioni economiche e politiche ai partner, riempire le casse del governo con proventi che possono finanziare sgravi fiscali e persino rimborsi una tantum agli americani. Tutto esercitando poteri economici d’emergenza del presidente per regolare transazioni davanti a «minacce» dall’estero.

In un clima da piena guerra commerciale Bruxelles è decisa, se necessario, a colpire l’economia americana dove fa più male per generare “il massimo impatto”. Dietro il pugno duro però si cela il doppio registro di Ursula von der Leyen, chiamata a un delicato esercizio di equilibrismo. Mostrare i muscoli a Washington mantenendo tuttavia vivo il dialogo per scongiurare un’escalation che potrebbe colpire le eccellenze industriali e agroalimentari delle big Ue. I “controdazi intelligenti” – rinviati dal primo al 13 aprile – in risposta alla raffica di tariffe di Trump su acciaio e alluminio restano in fase di definizione.

L’elenco, dal valore di oltre 21,5 miliardi di euro, è ancora sotto chiave. Ma sarà mirato a “provocare il massimo impatto sugli Stati Uniti, riducendo al minimo i danni per l’economia europea”, ha garantito il portavoce della Commissione, dopo il “grande rammarico” espresso da von der Leyen per la decisione americana. I funzionari Ue lavorano con il bisturi. Dal vecchio arsenale anti-Trump potrebbero essere depennati alcuni marchi iconici come il bourbon per evitare ritorsioni su prosecco, champagne e cognac. Italia e Francia tengono alta la guardia a difesa delle loro bollicine. Ma a temere il rischio boomerang è anche l’automotive già alle prese con la svolta green e il dumping cinese.

Colpire le auto e i componenti “penalizzerà anche le case che producono negli Stati Uniti e il conto lo pagheranno i consumatori americani”, hanno sottolineato i giganti del Vecchio Continente – da Mercedes a Stellantis – riuniti nell’associazione europea Acea. Una linea sposata dalle case tedesche che, per bocca della presidente della Vda, Hildegard Mueller, hanno invocato “un accordo bilaterale Ue-Usa”. Il primo ministro canadese, Mark Carney, ha assunto una posizione simile, dicendo “risponderemo a ulteriori misure”.

La Cina ha detto che coordinerà la sua risposta con il Giappone e la Corea del Sud. Questo potrebbe implicare un rafforzamento della cooperazione nelle catene di approvvigionamento e un nuovo accordo trilaterale di libero scambio. Il Regno Unito, che non fa più parte dell’Ue, è uno dei pochi paesi che non ha messo in guardia su possibili ritorsioni. Il Primo Ministro Keir Starmer ha affermato che non ci sarà una “reazione istintiva” a eventuali nuove misure. Aveva sperato che il Regno Unito potesse essere risparmiato dalle tariffe in un nuovo accordo commerciale con Trump, rafforzato dal fatto che gli Stati Uniti avevano effettivamente registrato un surplus commerciale con la Gran Bretagna nel quarto trimestre

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