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Il canale di Suez

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Export e crisi in Medio Oriente, secondo un’analisi di Confartigianato negli ultimi tre mesi ogni giorno i danni hanno raggiunto 95 milioni. L’impatto maggiore sulle micro e piccole imprese


Per ora la crisi di Suez non ha avuto impatti sulle quotazioni delle materie prime. Ma c’è comunque il rischio che l’inflazione possa rialzare la testa. Oltre dunque ai danni per l’export made in Italy (attraverso lo stretto transita più del 30% del traffico commerciale del nostro Paese) il blocco delle navi nel Mar Rosso potrebbe anche soffiare sui prezzi.

Secondo l’Istituto per gli studi di Politica internazionale (Ispi) i maggiori costi potrebbero infatti far aumentare i listini in Europa dell’1,8% nei prossimi 12 mesi. Un allarme che rende ancora più preoccupanti i primi bilanci della crisi in Medio Oriente. Ieri Confartigianato ha stimato in 8,8 miliardi, 95 milioni al giorno, i danni per il commercio estero italiano. Si tratta dei conti relativi al trimestre novembre 2023 e gennaio 2024. Il passaggio tra Oceano indiano e Mar Rosso è infatti strategico per i container diretti in Asia, Oceania, Paesi del Golfo Persico e Sud Est dell’Africa.

Lo stop al passaggio delle navi ha dunque comportato, secondo Confartigianato, perdite complessive di 3,3 miliardi per mancate o ritardate esportazioni e 5,5 miliardi per il mancato approvvigionamento di prodotti manifatturieri. E a soffrire sono state in particolare le micro e piccole imprese, di fatto l’asse portante del sistema produttivo, con una quota di export nel Paesi extra-Ue del 32,7% del totale europeo e un valore doppio rispetto alle imprese della Germania.

I flussi commerciali (ex-import) delle produzioni italiane che transitano nell’area sotto attacco valgono oltre 30 miliardi. E superano i 10 miliardi le spedizioni di prodotti delle piccole imprese. Al primo posto l’alimentare, seguito da prodotti in metallo, gioielleria, occhialeria, moda, legno e mobili. Nei paesi emergenti dell’Asia 11,6 miliardi sono costituiti da macchinari e impianti.

L’agroalimentare è tra i settori più penalizzati. Le difficoltà sul mercato asiatico – ha denunciato Coldiretti – colpiscono un settore in grande espansione che nel 2023 ha raggiunto un record storico delle esportazioni di 64 miliardi, in crescita del 5% sull’anno precedente. L’allungamento delle rotte marittime tra Oriente e Occidente, ha fatto impennare il costo del trasporto marittimo con il rischio di perdere competitività e mercati. L’export agroalimentare in Asia – ha spiegato Coldiretti – vale 5,5 miliardi e il 90% raggiunge quei paesi per via marittima. I tempi lunghi creano anche problemi di conservazione per i prodotti freschi. Infatti tra le merci esportate c’è l’ortofrutta (circa un miliardo), seguita da pasta e prodotti da forno, dolci e vino.

I costi dei trasporti sulla rotta tra Mediterraneo e Cina sono quadruplicati. Per arrivare in India circumnavigando l’Africa – ha evidenziato Coldiretti – occorrono quaranta giorni rispetto ai ventotto necessari passando dal canale di Suez. Con le rotte allungate dunque ogni chilogrammo di frutta sconta un rialzo dei costi di 10 centesimi. Già con l’esplosione a ottobre della crisi in Medio Oriente c’era stata una ricaduta sui costi dei trasporti. Ora con gli attacchi degli Houthi dello Yemen i noli sono volati.

Da una prima ricognizione del Centro studi Divulga emerge infatti che da ottobre i noli dal Mediterraneo alla Cina sono aumentati del 131%, dalla Cina al Mediterraneo del 252%, dal Nord Europa alla Cina del 256% e dalla Cina al Nord Europa del 382%. L’indice del costo del trasporto marittimo dalla Cina – ha rilevato Confartigianato – nella settimana terminante al 12 gennaio scorso è salito del 120,6% rispetto alla settimana precedente all’inizio degli attacchi alle navi occidentali.

Si va dunque verso una frenata del commercio internazionale. “Gli effetti della crisi del Mar Rosso, sommati alla stretta monetaria in corso e alla riattivazione delle regole europee di bilancio, – ha affermato il presidente di Confartigianato, Marco Granelli, – potrebbero avere pesanti conseguenze sulla crescita economica italiana”. Da qui l’appello a “mettere in campo tutte le misure. A cominciare dall’attuazione del Pnrr, per alimentare la fiducia e la propensione ad investire delle imprese e scongiurare il rischio di una frenata del ciclo espansivo dell’occupazione”. E il Pnrr dovrebbe anche essere determinante per superare l’arretratezza infrastrutturale del nostro Paese. Arretratezza che mette a rischio la competitività del Made in Italy e costituisce una pesante ipoteca per l’export.

Lo studio realizzato dal Centro Studi Divulga ha calcolato in 93 miliardi la perdita dovuta al gap logistico con 9 miliardi solo per il settore agroalimentare. E una delle maggiori carenze si rileva nel sistema portuale nonostante l’Italia occupi un posto di rilievo nella portualità europea. Il nostro Paese, secondo i dati di Divulga, si colloca al secondo posto in Europa per le merci movimentate con 508 milioni di tonnellate. Ma nella classifica dei principali porti europei c’è solo Trieste, peraltro all’ottavo posto. Sul podio nelle prime tre posizioni Rotterdam, Anversa e Amburgo. Il processo di ammodernamento del sistema portuale nazionale marcia a ritmo lento con investimenti complessivi che si sono attestati al 2% di quelli totali della logistica nel periodo 2013/2017. Poca cosa se paragonata al 14% raggiunto dai Paesi avanzati.
Al di là dell’emergenza contingente resta dunque un’arretratezza “storica” che se non verrà superata renderà sempre meno competitivo l’export italiano.

La Commissione Europea – ha segnalato lo studio di Divulga -aveva stimato per il 2023 un aumento del 50% della merce gestita nei porti. Con un impatto importante sull’occupazione ma anche sulla costruzione di un nuovo protagonismo commerciale nel Mediterraneo. Un bacino, attraversato da circa il 25% del traffico mercantile complessivo, dove l’Italia occupa una posizione centrale e che diventerà sempre più strategica anche con il Piano Mattei. Lo Stivale, d’altra parte, per la sua stessa conformazione è un pontile naturale d’Europa.

I porti non soffrono, affacciandosi nel Mediterraneo, delle oscillazioni prodotte dalle maree (che in alcuni porti nordeuropei possono raggiungere gli 8 metri). Baciati dunque dalla natura, ma messi all’angolo dall’uomo. Per i porti serve ora una cura energica. Non solo per potenziarli, ma anche per connettere le cosiddette autostrade del mare con tutta la complessa rete dei trasporti, dalle ferrovie agli aeroporti. Ma bisogna fare presto. Evitando i tempi biblici che hanno caratterizzato le opere infrastrutturali e che secondo i dati di Banca d’Italia e dell’Agenzia della Coesione territoriale, riportati da Divulga, raggiungono mediamente 4,5 anni che salgono però a 11 per opere di valore superiore a 5 milioni e fino a quasi 16 anni per progetti di oltre 100 milioni.


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Francesco Ridolfi

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