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L'impianto siderurgico dell'ex Ilva

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RIPORTO il comunicato stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri del giorno 17 gennaio scorso sulla crisi dell’ex Ilva: “Il Consiglio dei Ministri ha approvato un Decreto Legge che rafforza alcune misure già presenti nell’ordinamento, a tutela della continuità produttiva ed occupazionale delle aziende in crisi, tra cui l’ex Ilva, e prevede garanzie di cassa integrazione straordinaria durante l’eventuale amministrazione straordinaria. Vengono esclusi dalla cassa integrazione i lavoratori impegnati nella sicurezza e nella manutenzione degli impianti, per consentire che restino operativi. Rimangono ferme le disposizioni, già inserite nell’ordinamento, a tutela delle piccole e medie imprese creditrici. L’incontro con le organizzazioni sindacali è fissato per giovedì alle ore tre del pomeriggio”.

Mentre Invitalia rilasciava questo altro comunicato: “Invitalia ha sempre operato su pieno mandato del Governo e di avere sempre dato disponibilità a sostenere la società e ad esplorare e percorrere ogni soluzione compatibile con la normativa vigente, sia nazionale che comunitaria, mentre Arcelor Mittal si è sempre rifiutata di partecipare al sostegno del Piano industriale approvato in Assemblea anche con il proprio voto favorevole”. Ed infine Arcelor Mittal ha fatto sapere che: “Dal momento che il Governo ha espresso la volontà che Arcelor Mittal esca da Acciaierie d’Italia, Arcelor Mittal ha anche avanzato la proposta di cedere le proprie azioni rimanenti direttamente a Invitalia o a un altro investitore gradito al Governo. L’obiettivo è trovare una soluzione negoziata come alternativa alla amministrazione straordinaria perché tale soluzione è dannosa sia per il business di Acciaierie d’Italia, sia per tutti i suoi stakeholders”. Infine, informalmente si apprende che Invitalia non è disposta ad acquisire la quota di Arcelor Mittal e salire così al 100% in quanto il Governo ritiene che la Unione Europea potrebbe eccepire sulla correttezza di una simile operazione.

Ho riportato questi comunicati perché penso sia sufficiente leggerli per capire quanto sia difficile il momento storico che il Governo sta vivendo in questi giorni, e quanto sia irresponsabile il comportamento di Arcelor Mittal nella crisi dell’ex Ilva che, a mio avviso, da sempre ha svolto una funzione solo di spettatore delle sorti di un processo fallimentare del nostro impianto siderurgico. Arcelor Mittal in realtà ha perseguito solo la finalità di distruggere un potenziale concorrente internazionale. Ed ora tocca al Governo affrontare e risolvere, in modo organico, una crisi che ha caratteristiche talmente pericolose da incidere, a mio avviso, anche sulla stessa struttura del Governo e dell’attuale maggioranza.

Ora che praticamente si è conclusa questa triste e kafkiana storia del più grande centro siderurgico della Unione Europea ed al tempo stesso ora che stiamo assistendo ad un discutibile comportamento di Arcelor Mittal, non posso non ricordare quando e come è iniziata la fine dell’impianto, quando e come si è praticamente regalato ad Arcelor Mittal la possibilità di azzerare questa ricchezza produttiva non di Taranto, non della regione Puglia, non del Mezzogiorno ma dell’intero Paese. Le motivazioni di questo triste epilogo sono da identificare in due distinti momenti, in due distinte responsabilità:

1. La prima responsabilità è da ricercarsi nella rivisitazione del rapporto contrattuale sottoscritto dall’ex ministro Calenda; proprio in quella rivisitazione, a mio avviso, ha avuto inizio l’avvio di questo tragico itinerario che ha portato alla crisi dell’ex Ilva. A tale proposito devo necessariamente prendere come riferimento l’ex ministro Luigi Di Maio, al tempo ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, il quale appena insediato ritenne che l’atto di affidamento ad Arcelor Mittal della gestione del centro (affidamento avvenuto con gara internazionale) e la relativa proposta sarebbe stata esaminata, tenendo però conto del fatto che l’Autorità Anticorruzione (Anac) aveva rilevato delle criticità sulla procedura che aveva portato la multinazionale a firmare il contratto di acquisto con il precedente governo. E, il 30 luglio 2018, lo stesso Di Maio bocciò il piano migliorativo sull’Ilva presentato da Arcelor Mittal. «Le proposte migliorative del piano ambientale non sono ancora soddisfacenti», dichiarò, sempre Di Maio, al termine dell’incontro tenuto al ministero dello Sviluppo economico (Mise). Dopo mesi, con minime variazioni e dopo un parere dell’Avvocatura Generale dello Stato fu sottoscritto un nuovo contratto.

2. Il 7 agosto 2019 il Consiglio dei ministri del governo Conte con un proprio decreto reintrodusse l’immunità penale (che identifica particolari situazioni in cui si rende lecito un fatto che sarebbe reato). Qualche mese prima il cosiddetto ‘scudo penale’ era stato abrogato dallo stesso Governo, che aveva rinviato la conclusione dell’esimente penale nuovamente al 2023 seppur con novità rispetto alla legge da poco abrogata. Ma questo decreto non venne convertito dal Parlamento e così venne in maniera definitiva annullato l’esimente penale (cioè la possibilità di non punire chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di evitare pericoli derivanti da un danno grave, pericolo da lui non volontariamente causato) che dal 3 novembre 2019 non esiste più.

Questa operazione parlamentare fu portata avanti dal Movimento 5 Stelle, con interventi formali, dell’allora senatrice Barbara Lezzi. Ed il 4 novembre 2019 il gruppo Arcelor Mittal notificò ai commissari straordinari dell’azienda la volontà di rescindere, proprio per la mancanza di uno scudo penale, l’accordo per l’affitto con acquisizione delle attività di Ilva S.p.A. Secondo i contenuti dell’accordo, Arcelor Mittal chiese ai commissari straordinari di assumersi la responsabilità delle attività di Ilva e dei dipendenti entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione.

Questi due riferimenti penso testimonino le responsabilità di chi ha praticamente deciso, con atti e con comportamenti inequivocabili, prima la crisi e poi la fine del centro siderurgico ex Ilva; questi due atti, a mio avviso, penso testimonino le responsabilità di chi ha regalato in un piatto d’argento ad Arcelor Mittal le condizioni per prendere le distanze dalle sue responsabilità, le condizioni per essere, in questa difficile trattativa, carichi di ragioni e di arroganza. Inoltre sempre per queste motivazioni continuo a chiedermi come mai l’attuale maggioranza parlamentare non chieda la istituzione di un Commissione Parlamentare di inchiesta per appurare le responsabilità politiche ed istituzionali di questa grave conclusione dell’intero “sistema produttivo Taranto”.

Per tutto questo torno, quindi, per la quinta volta, a prospettare una ipotesi con cui cercare di uscire da una crisi che, per responsabilità inequivocabili di uno schieramento politico (il Movimento 5 Stelle) e di ex membri di passati Governi, oggi ha praticamente raggiunto il livello più preoccupante e, al tempo stesso, si avvia verso una forma di irreversibilità ingestibile. I punti della mia proposta erano i seguenti:

1. Lo Stato annulli il rapporto contrattuale con Arcelor Mittal per inadempienze degli impegni contrattuali (doveva produrre da 6 a 10 milioni di tonnellate di acciaio, oggi siamo ad appena 3 milioni).

2. Lo Stato subentri integralmente nella gestione dell’impianto assicurando le adeguate risorse pari ad una quota annuale di 1,2 miliardi di euro per un arco temporale di almeno quattro anni. Di tale importo una quota del 40% venga utilizzata per la riqualificazione funzionale della città di Taranto e del suo hinterland.

3. Lo Stato, dopo trenta giorni dall’approvazione della legge di Stabilità, nomini un nuovo Consiglio di Amministrazione.

4. Lo Stato incarichi una primaria società per la redazione di un apposito master plan del processo di riqualificazione funzionale della città di Taranto e del suo hinterland di cui al punto 2. Di questi quattro punti quello più difficile da attuare è sicuramente il secondo, quello cioè di garantire, per almeno quattro anni, una disponibilità finanziaria di 1,2 miliardi di euro all’anno ma penso che sarebbe già un grande segnale, per i possibili operatori privati a partecipare ad una possibile gara, se nel prossimo Documento di Economia e Finanza (Def) il Governo dichiarasse formalmente la volontà di inserire, o nella legge di Assestamento di Bilancio da approvare entro il prossimo 30 giugno o nella legge di Stabilità 2025, una simile disponibilità finanziaria.

Ricordo che, senza dubbio, la “cassa integrazione” è uno strumento utile per contenere quello che più volte ho definito “una bomba sociale” ma, al tempo stesso, è la condanna definitiva per la funzionalità delle attività industriali del centro siderurgico. Non lo merita Taranto, non lo merita la Puglia e, soprattutto, è una ferita che difficilmente il Mezzogiorno riuscirebbe a rimarginare.


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