L'incontro tra Milei e Papa Francesco
4 minuti per la letturaMilei lusinga papa Francesco ma la frattura resta insanabile. Bergoglio ha ricevuto il neo-eletto presidente argentino che in passato aveva usato espressioni poco lusinghiere nei suoi confronti
“Ecco Santità, vede? Questi dolcetti sono della sua marca preferita”. Sono da poco passate le dieci di un lunedì molto intenso per papa Francesco e il suo ospite connazionale, il presidente argentino Javier Milei. L’udienza privata è finita da poco, oltre un’ora di faccia a faccia serrato anche se “in un clima disteso”. Al momento dello scambio dei doni, Bergoglio guarda un po’ emozionato i dolcetti farciti con dulce de leche e i biscotti al limone. Vero è che una volta a settimana arrivano anche in Vaticano. Ma vederseli offerti dal capo di Stato del suo Paese, riporta il Papa argentino nella sua Buenos Aires di quando, da arcivescovo, solcava i barrio, i quartieri più poveri, per portare a quegli ultimi ultimi un messaggio di speranza e di impegno concreto con le mense popolari.
In undici anni di pontificato Papa Francesco ha visitato quasi tutta l’America latina tranne la sua Argentina. E sarà forse per questo che il presidente Milei ha voluto concludere l’incontro con un invito ufficiale: “Venga, Santità, la sua Argentina l’aspetta”. Ed è quasi lo zenit di una strategia della lusinga che il capo della Casa Rosada ha scelto per la sua visita al Papa. Appena il giorno prima, domenica, aveva definito Bergoglio “il più importante argentino della storia”. Mentre alla messa per la beatificazione di “Mama Mantula” la laica prima santa argentina, si era avvicinato al Papa in sedia a rotelle abbracciandolo vigorosamente.
Altrettanti segnali di pace dopo la caterva di insulti rivolti al Papa durante la campagna elettorale: gli aveva dato dell’”affine ai comunisti assassini”, del “personaggio nefasto”, del “rappresentante del Maligno” fino a definirlo “un imbecille”. E forse anche tutto questo gli era valso l’appellativo di “El loso”, il matto.
Ma una volta conquistata la Casa Rosada con il 50% dei voti e una risicata maggioranza parlamentare che gli sta dando parecchio filo da torcere per la “ley omnibus” sulle liberalizzazioni, Milei ha preferito la via del riavvicinamento con il pontefice suo scomodo connazionale. Solo che tra l’approccio ultraliberista del presidente e l’opzione preferenziale al sociale e ai poveri di Francesco, la distanza è stata fin da subito stridente e tuttora resta incolmabile.
Un’ora di colloquio a tu per tu tra Milei e Papa Francesco e senza interpreti, un tempo davvero insolitamente lungo per un’udienza, è servita al presidente per esporre nel dettaglio la sua ricetta economica e al pontefice per ascoltare e manifestare le sue preoccupazioni. Milei non appartiene alla scuola di pensiero liberista di Milton Friedman, che tanta fortuna ebbe nel Cile di Pinochet, ma a un gruppo di economisti austriaci che propugnano il primato assoluto del libero mercato. Di qui i tre caposaldi della politica economica del presidente: drastica riduzione della spesa pubblica, privatizzazione delle imprese statali e deprezzamento della moneta nazionale, il peso, a favore di una generale “dollarizzazione”. Con un’inflazione arrivata al 140%, il nuovo presidente argentino si è trovato con montagne di pesos che valevano sempre di meno.
Nel timore di una maxi svalutazione successiva al cambio della guardia alla Casa Rosada, l’imperativo delle classi più agiate è stato lo spendere il più possibile. E di qui, tra gli indicatori dei comportamenti sociali, anche le lunghe file ai ristoranti di lusso sulle avenidas più blasonate di Buenos Aires. Solo che taglio della spesa pubblica significa prima o poi una consistente riduzione della spesa sociale e del welfare. Cosa che si è puntualmente verificata.
Nell’Argentina prima di Milei sono sempre esistite classi molto deboli che sull’intervento statale hanno fatto riferimento a cominciare dai sussidi alimentari. Le mense del popolo hanno costituito a lungo un importante ammortizzatore sociale. Con i primi provvedimenti di Milei i “comedores populares”, gli avventori del popolo, hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 4 milioni. E scatenato proteste nella capitale e in tutto il Paese. Significativo che la ministra del Capitale umano Sandra Pettovello, dopo essersi impegnata a ricevere uno per uno questi nuovi poveri, li abbia lasciati in fila sotto il sole davanti all’ingresso del ministero. Sarà pure che il presidente punti all’immagine con un fuori programma in via della Conciliazione per un selfie collettivo con un gruppo di argentini prima di recarsi dal Papa, ma il conflitto sociale sta diventando in Argentina ogni giorno più esplosivo.
Jorge Mario Bergoglio conosce perfettamente questa situazione ed è seriamente preoccupato. Questo Papa non ha mai creduto nelle virtù taumaturgiche del mercato lasciato a sé stesso. La distanza, se non la frattura con il presidente argentino risiede soprattutto nel rischio di una progressiva, mancata tutela dei più deboli. La sola idea che i barrios della miseria possano ampliarsi a dismisura lo scuote profondamente. In gioco c’è per Francesco il rapporto distorto tra la ricchezza per pochi e la povertà crescente all’insegna di diseguaglianze ingovernabili. Queste apprensioni il pontefice argentino avrà di sicuro manifestato al presidente suo connazionale. Un esercizio di equilibrio ma anche di franchezza. E all’invito di ritornare finalmente in patria, non poteva che prendere tempo. Buenos Aires, sì, tra ricchi di sempre e nuovi poveri. Così vicina, così lontana.
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