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L’arrivo di Omicron, l’ultima variante del coronavirus covid 19, ha aperto nuovi scenari alzando il livello di preoccupazione tra la popolazione ma anche tra gli scienziati e i virologi che a più riprese si sono prodigati in allarmi di varia intensità per richiamare tutti al rispetto delle regole di distanziamento.

I nodi che più allarmano sono, sostanzialmente due, il primo riguarda l’efficacia dei vaccini in generale mentre il secondo, più specifico, riguarda il valore della terza dose in caso di contagio da omicron.

Le mutazioni di Omicron che abbassano l’efficacia del vaccino

Il problema principale nasce dal fatto che la variante omicron, a differenza delle precedenti, presenta numerose mutazioni nella proteina spike, proteina sulla quale si basano i due vaccini più diffusi in occidente, ossia il Pfizer e il Moderna.

Questa circostanza comporta che maggiore è il tempo trascorso dall’ultima somministrazione maggiore è il rischio che il vaccino non abbia una efficacia tale da immunizzare i soggetti interessati o addirittura perda completamente efficacia. L’esigenza della terza dose, definita anche dose booster, nasce proprio da questa considerazione e dalla tesi scientifica secondo cui una ulteriore sollecitazione del sistema immunitario possa contribuire ad attenuare se non proprio il rischio di un contagio quanto meno quello di contrarre una tipologia particolarmente grave dell’infezione che possa sfociare nella temuta polmonite bilaterale.

Gli effetti della terza dose alla luce di Omicron

Secondo i primi esami la dose di richiamo, ossia la terza dose, pare effettivamente che garantisca un ulteriore, ma c’è da dire anche parziale, ripristino della capacità del sistema immunitario di difendersi dagli aspetti più gravi del virus.

Tuttavia due elementi vanno presi in considerazione. Il primo è che le infezioni da covid in chi ha fatto solo la seconda dose e, per di più, risalente a 5 o più mesi prima, sembrano essere, sulla base dei primi dati, più probabili proprio perché la variante omicron differisce in alcuni aspetti rispetto alle varianti precedenti.

Ma anche fare la terza dose, rispetto ad omicron, non mette del tutto al sicuro. Infatti, secondo alcuni studi, persino coloro che hanno ottenuto le tre dosi rischiano di avere una difesa minore rispetto al contagio dalla nuova variante. Questo perché, lo ripetiamo, la variante Omicron ha molti aspetti della proteina Spike, su cui si basano i vaccini in uso, che differiscono rispetto alla variante originale su cui i vaccini sono stati progettati e questo consentirebbe al virus di aggirare la protezione.

Da ciò se ne ricava che in generale la dose booster serve perché aumenterebbe la protezione ma, al tempo stesso, deve essere accompagnata dalle misure di contenimento e distanziamento sociale perché da sola non garantirebbe una copertura totale dal rischio di infezione. Del resto, per questa ragione tanto Pfizer che Moderna hanno già annunciato di aver avviato delle attività di progettazione di nuove versioni del vaccino che possano tener conto delle novità nella proteina spike introdotte da Omicron.

Perché si registrano i contagi tra i vaccinati

Quindi, partendo dall’assunto che comunque, al netto delle considerazioni precedenti, i vaccini funzionano nel salvaguardare dalle conseguenze più gravi del covid e finora hanno consentito di mantenere sotto controllo la pressione sul sistema sanitario nazionale e di salvare numerose vite umane (secondo alcune tesi basate su ipotesi di studio alcune decine di migliaia), lo stesso Istituto superiore di Sanità ha attribuito a cause plurime il crescente numero di contagi tra i vaccinati anche con tre dosi.

In particolare, il possibile contagio potrebbe essere il frutto dell’azione combinata del calo dell’efficacia dei vaccini dovuto alle diversità di Omicron (variazioni della proteina spike e maggiore contagiosità) e al trascorrere del tempo. Ma non solo, non bisogna, infatti, dimenticare anche l’effetto psicologico delle vaccinazioni che ha portato nella popolazione ad un, più o meno inconsapevole, allentamento delle misure di contenimento (mascherine, detersione frequente delle mani, distanziamento sociale), tutte condizioni che, in generale, innalzano il rischio di contrarre il virus.

Il risultato della combinazione, quindi, di tutte queste cause (variabili della proteina spike, maggiore contagiosità, perdita di efficacia dei vaccini, riduzione del distanziamento sociale, allentamento dell’utilizzo dei dispositivi di protezione) è l’aumento del rischio di contagio che inevitabilmente si trasforma, dato l’alto numero di soggetti potenzialmente contagiabili, in una esponenziale crescita di soggetti che si scoprono positivi al coronavirus covid 19, con una incidenza di casi gravi, però, percentualmente molto inferiore rispetto alle ondate in cui i vaccini non erano ancora presenti.


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