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MILANO – L’Italia saluta il giorno delle riaperture diffuse con il dato più basso di morti dall’inizio del lockdown. Per la prima volta dall’11 marzo, sono 99 i deceduti per il coronavirus (32.007 totali). E poi 451 in più in 24 ore i nostri connazionali che hanno contratto il virus, 225.886 dall’inizio dell’epidemia, mentre aumentano ancora i guariti (+2.150) con l’ammontare complessivo che balza a 127.326.
Gli attualmente positivi sono 66.553 lungo lo Stivale, 1.798 in meno rispetto a ieri. Mentre l’emergenza per le terapie intensive sembra ormai alle spalle, anche se l’invito che arriva da più parti è di non abbassare la guardia. Sono 13 in meno in 24 ore i pazienti più gravi, con 749 posti occupati a livello nazionale, secondo i dati del bollettino della Protezione civile. Ma ci sono anche altri dati. Sono 10.207 le persone ricoverate in ospedale con sintomi di Sars-CoV2, 104 in meno in 24 ore. Poi ci sono 55.597 nostri connazionali, pari all’84% dei contagiati attuali, in isolamento senza sintomi o con sintomi lievi. La pandemia, però, non è ancora pienamente superata. La Lombardia è ancora la regione che soffre di più con 175 nuovi casi e 24 morti in un giorno, mentre a livello locale i dati sembrano preoccupare meno.
Se a Milano provincia sono 71 i positivi segnalati in giornata, con un aumento di 24 unità registrato nel solo capoluogo lombardo, da segnalare anche nessun nuovo malato a Mantova e a Cremona. Fra le altre regioni, incrementi comunque contenuti sulle positività: 72 in Piemonte e 39 nel Lazio, seguiti dai 35 dell’Emilia-Romagna e i 32 della Liguria. Il saldo è zero, invece, in Umbria, Sardegna, Basilicata e Calabria. Intanto, il governatore lombardo, Attilio Fontana, parla del 18 maggio come di «una data che ci riavvicina alla riconquista totale della nostra libertà. Ma bisogna essere particolarmente attenti e rispettare le regole».
Guardingo sulla ripartenza anche Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano. «Se l’apertura avviene – sottolinea – è perché non ci sono alternative, ma dobbiamo viverla con il massimo senso di responsabilità nei nostri comportamenti. Il rischio di una seconda ondata dell’epidemia non è una cosa che dico io, ma è un’ipotesi che spaventa l’Organizzazione mondiale della sanità».
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