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IL NUMERO dei decessi nelle Residenze sanitarie assistenziali per Codiv-19 è potenzialmente dieci volte superiore a quello fornito dai dati ufficiali. Nel caso della Lombardia si aggira addirittura intorno al 14%. È il primo pezzo di verità: una moltiplicazione dei lutti che lascia senza parole. Emerge da un report condotto dall’Istituto superiore di sanità. Sono i primi numeri con credibilità scientifica. Un documento che diventerà parte integrante dell’inchiesta condotta dalle commissioni nominate da Palazzo Marino, affidate al magistrato Gherardo Colombo, e delle indagini avviate dalla Procura in base a molti esposti presentati. Conferma i sospetti, avanzati da più part, sulle reali dimensioni di una strage senza precedenti.
IL METODO
La ricerca ha coinvolto 2.166 Rsa distribuite in modo rappresentativo in tutto il territorio nazionale, consultate dal 25 marzo al 6 aprile. Hanno risposto 577 strutture, circa il 27%. Sufficienti a rappresentare un quadro popolato da morti sommerse, un conto delle bare e dei lutti che inizia ad assumere i contorni reali. A partire dal 1° febbraio, su un totale di 3.859 decessi, solo 133 sono stati classificati, con la conferma del tampone, sotto la voce “Covid 19 positivi”. Fuori dal conteggio, 1.310 decessi dovuti a “sintomi simil-influenzali”. Ovvero, pazienti deceduti, forse anche prima della diffusione certificata del virus o nel periodo di massima diffusione, ma non compresi nel consueto bollettino della Protezione civile.
L’esempio più clamoroso rimane quello della Lombardia, dove il virus ha colpito più duro: 1.882 decessi ma, per le statistiche, solo 60 per Covid. E gli altri 874? Derubricati dalle strutture lombarde come morti per simil-influenza. Nello stesso periodo in Puglia o in Calabria, come si legge nella tabella esplicativa dell’Iss, per influenza nelle case di riposo è morto solo un paziente. Come dire che in Lombardia l’influenza avrebbe avuto un effetto 873 volte superiore e più letale. Possibile? Scorrendo la stessa tabella, si legge che i decessi per influenza, ovvero senza che un tampone ne abbia certificato la morte per Covid, sono stati 152 in Emilia-Romagna; in Veneto 109; in Toscana 86. Più si scende, più l’influenza perde carica virale. Zero decessi in Abruzzo, 4 in Sardegna, 2 in Molise, 2 a Bolzano.
Ma cosa si intende per simil-influenza? Il report lo spiega; i residenti che presentano sintomi come febbre, tosse, dispnea, persino polmonite, indipendentemente dall’esecuzione del test. La percentuale maggiore di decessi si è avuta in Lombardia, (47,2%) e in Veneto (19,7%). Il tasso di mortalità sul totale dei residenti si aggira intorno all’8,4 %, compresi i nuovi pazienti entrati nelle strutture a partire dal 1° marzo. I numeri oscillano. E molte sono le variabili dipendenti. Un dato è certo: le Rsa non potevano reggere l’onda alta del virus che ha fatto strage di anziani. Eppure, in alcuni casi sono state utilizzate per ricoverare pazienti positivi al Covid-19. Il più clamoroso resta la delibera della Regione Lombardia che l’8 marzo ha disposto il ricovero dei pazienti Covid-19 a bassa intensità nelle Rsa dotate di reparti dedicati dove fosse possibile l’isolamento. Lo scenario descritto all’Istituito superiore di sanità è molto diverso. Non risponde affatto alle aspettative che quelle delibera, votata in momento così drammatico dalla giunta lombarda, quando l’emergenza e la ricerca di posti letto si era fatta disperata e affannosa, lasciava intravvedere.
IL REPORT
Survey nazionale sul contagio Covid-19 nelle strutture residenziali e sociosanitarie. È il titolo del report prodotto dall’Iss. Una sorta di autocertificazione delle proprie carenze. Mancanza di presidi sanitari, organici di medici e infermieri appena sufficienti a gestire ospiti e pazienti ospedalizzati, formazione avanzata ma non in grado di affrontare da un giorno all’altro una epidemia, scarsa informazione. Tutto questo risulta dalle risposte ai questionari inviati alle strutture dall’Iss, una ricerca condotta in collaborazione con il garante nazionale dei diritti delle persone detenute. Un lavoro avviato a partire dal 24 marzo 2020. Erano i giorni più caldi, l’impennata dei contagi, la necessità di affrontare strategie di controllo dell’infezione efficaci. Non commettere errore era quasi impossibile ma ora è giusto che la verità venga fuori.
CARENZE DELLE STRUTTURE
La maggior parte dei 577 questionari compilati – citiamo testuale il report – proviene da Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Toscana e Lazio. Il dato è parziale, la realtà potrebbe essere anche peggiore perché nel frattempo il virus ha continuato a colpire. Ma dicevamo delle carenze. Ebbene, nonostante la grande affidabilità di alcune strutture pubbliche e private, molte appartenenti al cosiddetto Terzo Settore, con un profilo no profit, è risultato che in media ognuna ospita 78 persone, in genere anziani, spesso ospedalizzati e non autosufficienti, affetti da varie patologie. In media ogni struttura dispone di 2,6 medici, 10 infermieri e 35 operatori sanitari. Molte dispongono anche di fisioterapisti, le più attrezzate di animatori, psicologici, assistenti sociali.
MORTI ANNUNCIATE
Una delle domande poste dal gruppo di ricercatori dell’Iss riguardava le difficoltà riscontrate durante l’epidemia. La prima, che ha riguardato poco meno del 90% delle strutture, è stata la mancanza di dispositivi medici, seguita dalle assenze del personale, dalle difficoltà nell’isolamento, la scarsità di informazioni, le difficoltà nel trasferimento e persino la mancanza di farmaci. Nel 34,6 % delle strutture lombarde il personale sanitario è risultato positivo al Sars-Cov 2, seguito da Trento e Liguria (25%), Marche (16%), Toscana (15,8%), Veneto (14,8%), Friuli-Venezia Giulia (13,3%), con valori inferiori al 10% o pari a zero nelle altre regioni.
ASSENZA DI ISOLAMENTO
Per avere un quadro completo bisognerà ovviamente attendere il monitoraggio di tutte le strutture, nessuna esclusa. Resta però molto forte l’idea che vi sia stata finora una verità nascosta. Il dolore dei parenti, colpiti da lutti così violenti e impietosi, pretende risposte. Ne hanno diritto. Se questi dati per ora parziali venissero confermati saremmo dinanzi a una tragedia infinita. Alla domanda se fosse possibile isolare i residenti in caso di sospetta infezione la risposta per l’8,9% delle strutture è stata: “no”. Secco. Per un altro 30,1% sarebbe stato possibile attuare misure di contenimento solo raggruppando i pazienti in un solo locale. Solo il 47% avrebbe potuto offrire stanze singole. E in media sono state effettuate 13 convenzioni per struttura, per un totale di 7.190 contenzioni complessive. Uno spaccato incompleto ma sufficiente per descrivere come le Rsa sono e saranno in grado in futuro di contrastare un nemico feroce e invisibile. Teniamolo bene in mente se non vogliamo aggiungere a un bilancio già devastante centinaia e centinaia di altre morti annunciate.
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