Il governatore Fontana
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Per prendere in carico un paziente positivo al Covid-19 in Lombardia bastava un clic. Ed è così che alcune residenze sanitarie assistenziali (Rsa) hanno rischiato di contagiare gli altri ospiti delle strutture. Anziani e anzianissimi, malati non autosufficienti, affetti da più patologie, in certi casi anche ultranovantenni in stato pre-vegetativo. Bastava iscriversi ognuno con le proprie credenziali e collegarsi sul portale della Regione “Priamo”.
Ogni Regione, in assenza di linee guida, è andata per conto suo. «Bisognava decomprimere gli ospedali, noi ne abbiamo preso una decina, pazienti ai quali era stato fatto il tampone che era risultato negativo – spiega Paola Cattin, direttore generale della Ras Fondazione Uboldo di Paderno Dugnano – Intorno a loro abbiamo creato delle “corti” per evitare qualsiasi forma di contagio. La nostra struttura è a Nord di Milano, tra Monza e Varese, per fortuna fuori dall’epicentro e non abbiamo avuto casi di positività. Lassù ci ha protetto qualcuno, forse le nostre suorine che pregano. Non so gli altri, non posso rispondere per loro».
LA CENTRALE UNICA
Le proposte di ricovero nei giorni più caldi arrivavano dalla centrale unica. Nome, cognome, scheda di dimissioni. Dati sensibili, inaccessibili senza le password. Chi aveva le caratteristiche richieste accettava il ricovero e il nome scompariva dalla schermata. Nei giorni della prima ondata, con la diffusione del virus allo Zenit, i dati venivano aggiornati anche due volte al giorno. C’era una disperata richiesta di posti-letto, gli ospedali sotto pressione, i medici e il personale contagiato. Le strutture, legate al Pirellone da rapporti economici e sanitari, hanno sentito l’obbligo morale di collaborare. La piattaforma ha funzionato a pieno regime. Una stazione di smistamento, arrivi e partenze. I dimissionabili e i riceventi.
Un binario per i malati di patologie che non fossero Covid 19 costretti a trasferirsi per far posto alle urgenze. Un altro per pazienti che presentavano tutti i sintomi pur risultando negativi. E l’ultimo, il più delicato, il canale per raccogliere i positivi a cui potevano accedere solo strutture in grado di accoglierli in padiglioni isolati e personale dedicato. Poche, per fortuna, altrimenti l’incendio si sarebbe propagato, se possibile, ancora di più.
CALL CENTER LOMBARDIA
Codici verdi e codici rossi, pazienti positivi al Coronavirus che richiedono cure a bassa intensità. Ognuna delle circa 600 Rsa in grado di offrire requisiti richiesti e accreditata per navigare sul portale era tenuto a dichiarare la propria disponibilità in base alla delibera 20906 dell’8 marzo 2020. La “maledetta” – ora si può dire – delibera che ha ingenerato caos e confusione, contribuendo a estendere il contagio. Il cerino, per dirla con le parole dell’avvocato Luca Degani, presidente dell’Uneba, l’associazione lombarda delle case di riposo, “nel pagliaio”
“A noi è stato proposto più volte di prendere pazienti provenienti da altri ospedali ma per fortuna non lo abbiamo fatto – tira un sospiro Elio Massetti, direttore generale della Fondazione Mazzocchi, Coccaglio, provincia di Brescia – abbiamo comunque pagato un prezzo altissimo. Ma ci è sembrato coerente dopo aver vietato l’ingresso ai parenti far entrare solo personale medico e operatori- Anche perché, devo dirlo, nessuno ci ha dato niente. Abbiamo fatto fronte all’emergenza con le giacenze, le riserve che avevamo nei magazzini. Mascherine, guanti, qualche tuta anche se poi siamo riusciti da soli ad averle”.
IL CASO MORLUPO
Non è il momento di processare nessuno. È il momento di dire: aiutiamoli. E su questo siamo tutti d’accordo. Non per questo, però, vanno taciuti gli errori, ciò che non ha funzionato. E se i numeri della Lombardia parlano da soli, descrivono il gigantesco dramma che si sta consumando nella Bergamasca e nel Bresciano, questo non vuol dire che e in altre regioni tutto sia andato a regola d’arte. A Morlupo, in provincia di Roma, ad esempio, si è seguita un’altra strada. Una delibera della Regione Lazio del 28 marzo ha disposto il trasferimento dei pazienti covid-19 da una Rsa a un’altra più attrezzata. È successo alla Residenza Flaminia. La stessa struttura è diventata un Centro Covid 19 in attuazione della fase 3 dell’emergenza. Anziché trasferire gli anziani positivi in ospedale si è preferita una Ras che garantisse isolamento e cure adeguate. La Asl Roma 4 ha comunicato al sindaco che l’evoluzione dell’infezione ha «richiesto l’attivazione della fase III dell’emergenza: prevede l’implementazione dei posti letto negli ospedali d’intervento o in nuovi presidi della rete».
Anche in questo caso non sono mancate le proteste dei parenti già ospiti della struttura che ora vedono un rischio contagio per i loro cari e gli scambi di accuse tra Regione ed enti locali per le mancate ottemperanze delle deliberazioni disposte. E gli anziani delle case di riposo continuano a morire.
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