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La consulta demolisce l’Autonomia differenziata: illegittimi sette articoli della legge Calderoli. Bocciato il trasferimento di materie come scuola, energia, commercio estero e ambiente
Sette articoli su 11 dichiarati incostituzionali, riaffermati i valori dell’unità nazionale, del regionalismo cooperativo e della solidarietà, rimesso al centro il Parlamento, sventato (per ora) il tentativo di allargare la forbice delle disuguaglianze e frammentare il Paese.
La sentenza pubblicata ieri dalla Consulta non si limita a bocciare la legge Spacca-Italia – cosa per altro già scritta nero su bianco nel comunicato dello scorso 12 novembre – ma mette a nudo anche le responsabilità di chi quella legge l’ha sostenuta solo per calcolo politico. Stabilisce tra l’altro anche l’illegittimità conseguenziale della legge di Bilancio 2023, quella che istituiva il Clep, il Comitato dei saggi presieduto dal professor Sabino Cassese. Il quale ne esce a sua volta delegittimato e depotenziato nella sua funzione, derubricata a semplice istruttoria.
Una verità impossibile da rovesciare
Come faranno, questa volta, il ministro Roberto Calderoli e il governatore del Veneto Luca Zaia a sostenere il contrario? Neanche il pifferaio magico riuscirebbe a rovesciare una verità così autorevolmente espressa e conclamata. L’autonomia differenziata in salsa leghista era una polpetta avvelenata, avrebbe stravolto i principi fondamentali della nostra forma di Stato, «il bene comune della società e della tutela dei diritti degli individui e delle formazioni sociali», si legge nelle motivazioni depositate ieri, dopo i ricorsi presentati dalle Regioni Puglia, Toscana, Campania e Sardegna.
Bocciato il ricorso della Puglia che chiedeva di annullare la legge 86/24 giacché «il fatto che una norma costituzionale non rinvii a una legge non impedisce al legislatore statale di dettare norme attuative, naturalmente nel rispetto dei limiti costituzionali». Ma questo vuol dire poco e nulla toglie al valore balsamico della sentenza.
Il punto cruciale riguarda i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni per la tutela dei diritti «che devono essere uguali in tutta Italia, la Costituzione infatti valorizza le autonomie regionali e locali ma nel quadro del mantenimento dell’unità nazionale».
«I Lep – si legge – implicano una delicata scelta politica perché si tratta di bilanciare uguaglianza dei privati e autonomia regionale, diritti, esigenze finanziarie, e anche i diversi diritti fra loro».
TRASFERIMENTI DI FUNZIONI, NON DI INTERE MATERIE
Il trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni potrà riguardare solo alcune funzioni e sarà sottoposto a un controllo rigoroso della Consulta.
Sulla scuola, per esempio, uno dei settori che più fanno gola ai governatori leghisti, «non sarebbe giustificabile una differenziazione che riguardi la configurazione generale dei cicli di istruzione e i programmi di base, stante l’intima connessione di questi aspetti con il mantenimento dell’identità nazionale». Idem, come vedremo, per Energia, Commercio estero, Ambiente.
RISCHIO DUPLICAZIONE DELLA BUROCRAZIA
Alcuni media hanno stravolto il significato della pronuncia della Corte, hanno detto e ripetuto i leghisti, colti da una sorta di collettiva dissonanza cognitiva. Riportiamo allora, a scanso di equivoci, testualmente, i passaggi più significativi. Per i giudici della Consulta l’attribuzione alle diverse Regioni di funzioni pubbliche che implicano prestazioni a favore dei cittadini, con cui si garantiscono i loro diritti civili e sociali, può avere conseguenze diverse. Va incontro alle esigenze delle popolazioni interessate, perché garantisce i loro diritti nel modo da essi ritenuto migliore.
«Ma può comportare la crescita, anche accentuata, delle diseguaglianze. Ciò potrebbe avvenire a causa della diversa distribuzione territoriale del reddito, con conseguenti differenze nella capacità fiscale per abitante e quindi delle entrate regionali, nonché per effetto delle diverse capacità amministrative nelle Regioni, che possono determinare una differenziazione territoriale nel livello di tutela dei diritti. Lo spostamento di una funzione verso il basso, soprattutto se la stessa funzione viene mantenuta al centro con riguardo ad altre regioni, può, in alcuni casi, comportare la duplicazione degli apparati burocratici oppure la perdita di economie di scala».
PIÙ EFFICIENTI DELLO STATO? LE REGIONI DOVRANNO DIMOSTRARLO
«Una deroga alla ordinaria ripartizione delle funzioni – scrive ancora la Corte – va giustificata e motivata con precipuo riferimento alle caratteristiche della funzione e al contesto (sociale, amministrativo, geografico, economico, demografico, finanziario, geopolitico e altro) in cui avviene la devoluzione, in modo da evidenziare i vantaggi – in termini di efficacia e di efficienza, di equità e di responsabilità – della soluzione prescelta. L’iniziativa della Regione e l’intesa previste dalla suddetta disposizione costituzionale devono, pertanto, essere precedute da un’istruttoria approfondita, suffragata da analisi basate su metodologie condivise, trasparenti e possibilmente validate dal punto di vista scientifico».
STOP AL TRASFERIMENTO DELLE MATERIE
Vi sono delle materie il cui trasferimento non è in linea con il principio di sussidiarietà per motivi di ordine giuridico, tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento, «pertanto, le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie potranno essere sottoposte a uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale».
Tra le funzioni in questione vi sono quelle che riguardano il commercio con l’estero e la tutela dell’ambiente, «materia in cui predominano le regolamentazioni dell’Unione europea e le previsioni dei trattati internazionali, dalle quali scaturiscono obblighi per lo Stato membro che, in linea di principio, mal si prestano ad adempimenti frammentati sul territorio»,
«Ancora più marcati – aggiunge la Consulta – sono gli ostacoli al trasferimento di funzioni, in particolare quelle legislative, concernenti la materia produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia. Si tratta, infatti, di una materia disciplinata dal diritto eurounionale in funzione della realizzazione del mercato interno dell’energia».
SBAGLIATO IL CRITERIO DELLA SPESA STORICA
La previsione di una compartecipazione calibrata sul criterio della spesa storica si dimostra -secondo la Corte costituzionale – irragionevole e viola l’articolo 97, secondo comma, dal momento che esso può cristallizzare anche la spesa derivante dall’eventuale inefficienza insita nella funzione come esercitata al momento dell’intesa.
Essa vìola, altresì, il principio di responsabilità del decisore pubblico. Si fa riferimento alla variazione dei «fabbisogni di spesa» come fondamento di una possibile modifica delle aliquote di compartecipazione già definite nelle intese.
La norma – prosegue il dispositivo della sentenza – si riferisce quindi ai fabbisogni di spesa tout court e non ai fabbisogni standard. Con ciò potendo comportare, di conseguenza, che la misura iniziale della compartecipazione destinata a finanziare le funzioni oggetto del trasferimento sia definita ab origine sulla scorta della spesa storica sostenuta dalloStato nella regione e non in base al criterio del costo standard o ad altro analogo criterio basato sulla gestione efficiente.
SE LA REGIONE RISPARMIA LE RISORSE TORNANO ALLO STATO
La Corte costituzionale afferma più volte un principio: il regionalismo differenziato si legittima sul piano dell’efficienza. La legge, inoltre, richiede il trasferimento «a costo zero».
«L’autonomia differenziata – si legge – deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini, in attuazione del principio di sussidiarietà».
E qui riportiamo integralmente quanto scrivono i giudici: «… questo implica due corollari: da un lato, il trasferimento della funzione non dovrebbe aumentare la spesa pubblica ma dovrebbe o ridurla o mantenerla inalterata, nel quale ultimo caso la gestione più efficiente si tradurrà in un miglioramento del servizio; dall’altro lato, il criterio da seguire per finanziare le funzioni trasferite dovrebbe considerare il costo depurato dalle inefficienze (come può essere il costo e fabbisogno standard, da applicare se la funzione attiene a un Lep). Se l’intesa ha ad oggetto più funzioni, l’invarianza finanziaria andrà valutata rispetto al complesso delle funzioni trasferite. Nel caso in cui il costo delle funzioni devolute sia inferiore a quello che lo Stato sostiene per la stessa funzione nella regione richiedente, si potranno liberare risorse che lo Stato potrà utilizzare per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a suo carico».
«È infatti verosimile che loStato mantenga un proprio apparato nel settore oggetto di conferimento – concludono a questo punto i giudici della Corte costituzionale e che sostenga costi per il monitoraggio delle funzioni trasferite e, eventualmente, per l’esercizio del potere sostitutivo. Inoltre, lo Stato manterrà le funzioni che attengono a esigenze unitarie e che, come detto, non possono essere scalfite dal regionalismo differenziato».
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