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Pagina nera per il governo Meloni, il decreto flussi è diventato il paravento per nascondere il flop dell’operazione Albania e l’arma per vendicarsi dei magistrati indicati come responsabili del fallimento
«Lo chiedo ai colleghi più moderati della vostra maggioranza, lo chiedo a Forza Italia: ma come fate, voi che dite di avere a cuore i diritti e la dignità della persona, a votare una porcata del genere?».
Quando parla Gianni Cuperlo (Pd) l’aula della Camera tace. E ascolta. Soprattutto nei banchi al centro. C’è voluta la seduta notturna per approvare in prima lettura (dovrà essere approvato dal Senato entro l’11 dicembre) il decreto flussi, nato per “aprire” posti di lavoro legali in Italia per gli stranieri e diventato cammin facendo insieme rappresaglia e bavaglio per i giudici che hanno giudicato non legittimo il protocollo Albania.
C’è anche il gioco delle date a rendere più amara la giornata della maggioranza e più dura la vendetta contro migranti, magistrati e cittadini italiani.
IL FIASCO ALBANESE
In questi giorni, infatti, si sta nei fatti smantellando il servizio di vigilanza nei due centri albanesi, Gyader e Shengjin. Perché in un mese di vita ci hanno passato una notte, in due tempi diversi, una ventina di immigrati che sono stati subito riportati in Italia perché il loro trattenimento e l’espulsione immediata nei “Paesi sicuri” di provenienza è stata giudicata illegittima.
Una pagina nera per il governo Meloni, che si era fatto vanto in tutta Europa del “protocollo Albania”. Che poi, alla luce dei fatti, è stato probabilmente scritto male e chi di dovere, cioè il legislativo di palazzo Chigi e del Viminale, non ha adeguatamente informato la premier di possibili lacune e rischi.
Nessuno dice, meno che mai a sinistra, che non debbano essere espulsi gli stranieri irregolari. Prima, però, devono essere espulsi quelli che già sono in Italia, magari da anni e hanno già numerosi fogli di via. Diverso è chiudere le porte in faccia a chi è arrivato, seppur illegalmente. Anche perché magari tra quegli arrivi c’è la famosa mano d’opera che cercano le aziende.
L’OBIETTIVO È STATO NASCOSTO
Il decreto flussi, quindi, è diventato il paravento per nascondere il fallimento dell’operazione Albania. E anche l’arma per vendicarsi dei magistrati, indicati come responsabili del fallimento. Quando i magistrati hanno solo applicato la sentenza della Corte di Giustizia europea e hanno chiesto alla stessa corte, le cui pronunce sono gerarchicamente superiori alle leggi nazionali, di esprimersi sulle leggi italiane.
Al testo originale sono stati infatti aggiunti tre emendamenti che hanno messo in quarto piano l’obiettivo vero del decreto: aprire le quote di flussi legali, 475mila lavoratori in tre anni. Peccato che siano quelli che servono oggi, in un anno, alle aziende italiane.
Vediamo adesso quelle che le opposizioni definiscono “armi improprie”. Quelle per cui Cuperlo si è appellato alla parte moderata della maggioranza: «Non deve essere semplice per voi che avete a cuore la vita e la dignità delle persone alzare la mano e votare questo provvedimento». In aula testa basse tra i banchi di Forza Italia e di Noi Moderati.
In un decreto “normale”, che viene fatto ogni anno prima della fine dell’anno per consentire i flussi, ha trovato posto l’elenco dei Paesi sicuri che da decreto interministeriale è stato elevato a legge.
Pensava il governo, in questo modo, di obbligare i giudici a spedire subito indietro i migranti arrivati via mare. Non è andata così, in attesa che la Corte europea si esprima in modo definitivo.
L’EMENDAMENTO MUSK A DANNO DEI GIUDICI
Nello stesso decreto ha trovato posto la norma che fa diventare invisibili «i contratti pubblici per la cessione e di materiali e mezzi a Paesi terzi e destinati alla sicurezza delle frontiere e dei flussi migratori».
In pratica, non sapremo mai quanto è stato speso per i due centri in Albania. Conosciamo solo i soldi messi a bilancio nel Memorandum (circa un milione di euro).
Sappiamo, però, che il cantiere dei due centri ha avuto complicazioni tali per cui la consegna è slittata da maggio alla fine di ottobre. Quindi ci sono stati sicuri aumenti. Di cui non sapremo nulla pur essendo soldi pubblici.
Infine, ha trovato posto in quel decreto, il cosiddetto “emendamento Musk”. Ricordate quando il miliardario americano arruolato nella squadra di Trump (per tagliare la burocrazia) e grande estimatore della premier Meloni (stima ricambiata) ha scritto sui social che «i giudici italiani devono essere cacciati» perché avevano osato bocciare il memorandum Albania? Non potendo ancora farlo, la deputata Kelany (FdI), relatrice del testo, ha infilato la norma per cui i casi che riguardano gli immigrati clandestini dovranno passare anche in Corte d’Appello se il primo grado è stato a loro “favorevole”, cioè non ha decretato l’espulsione.
Come è noto, sei anni fa è stato eliminato l’Appello, un modo per accelerare le procedure. Adesso ritorna tra le grida di allarme delle Corti: «Non riusciremo mai a far fronte a questo nuovo carico di lavoro. La giustizia diventerà ancora più lenta». Che è l’esatto contrario di quello che ci chiede il Pnrr.
LA GIUSTIZIA RISCHIA LA PARALISI
Già adesso le Corti d’Appello hanno un arretrato di 5.000 fascicoli. Quando arriveranno quelli relativi all’immigrazione, se ne aggiungeranno altri 4.700. Il Quirinale lunedì ha rispedito in Commissione il decreto proprio per via di questo emendamento. Il Colle ha ottenuto 30 giorni in più di tempo per dare tempo alla Corti di organizzarsi e fare fronte a questo nuovo carico di lavoro. Il rischio paralisi è evidente.
Dietro tutto questo c’è anche il non detto della maggioranza di poter in qualche modo “controllare” i giudici dell’Appello.
Non è entrata in questo testo un’altra arma che la maggioranza agita da tempo: i magistrati non potranno più esprimersi su disegni di legge in corso di approvazione. In caso contrario, sarà una giusta causa per dichiarare incompatibile quel magistrato rispetto all’applicazione di quella legge.
In compenso, è stato bocciato un ordine del giorno del deputato Paolo Emilio Russo (Forza Italia) che chiedeva cautela nell’applicazione della norma che prevede il sequestro e il prelievo di dati dai cellulari di chi viene salvato. Il cellulare per queste persone è l’unica cosa che abbia un valore. Anche più delle loro stesse vite.
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