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Dopo il reddito di cittadinanza, l’assegno di inclusione; ma è un flop: In Campania solo un disoccupato su 6 degli aventi diritto ha ricevuto il sussidio. In Sicilia uno su 10.
Avrebbe dovuto spingere i “bamboccioni” del reddito di cittadinanza ad abbandonare i divani e mettersi attivamente alla ricerca di un posto di lavoro. Addio al sussidio minimo garantito senza muovere un dito. E benvenuto all’assegno di inclusione, 350 euro al mese per un anno al massimo in cambio della partecipazione ad un corso di formazione lavoro. Ma, ad un anno dal suo esordio, l’operazione si è tradotta in un clamoroso flop per chi nel governo auspicava l’arrivo di politiche attive per il lavoro. E in un drastico taglio di risorse soprattutto per i giovani meridionali disoccupati. A tutto vantaggio delle casse dello Stato che, a fronte di un miliardo e mezzo di euro stanziati fino al 2024, ha sborsato solo 100 milioni di euro.
Per capire come sono andate le cose, però, occorre fare il classico salto all’indietro. A quando cioè il governo Meloni decise di dare un colpo di spugna al reddito di cittadinanza. Fortemente voluto dai Cinquestelle e varato dall’esecutivo “gialloverde” con il bene stare della Lega. Per evitare che il reddito finisse nelle mani anche di coloro che non erano oggettivamente impossibilitati a lavorare, si decise di introdurre il cosiddetto “assegno di inclusione”, l’Adi.
Sulla carta l’operazione avrebbe dovuto toccare tutto l’esercito dei percettori del reddito che rientravano nella categoria degli occupabili (adulti tra 18 e 59 anni, abili al lavoro). Comprendeva almeno 660mila persone in tutta Italia, una su due concentrata nel Sud dove è più alto il tasso di disoccupazione e più basso quello di occupazione. A fare la parte del leone la Campania, con circa 189mila unità, seguita dalla Sicilia con 154mila. Più distanti la Calabria e la Puglia, rispettivamente a quota 57mila e 51mila. Che cosa è successo in anno?
IL REPORT DELL’INPS
A tirare le somme è stata, qualche settimana fa, l’Inps che in un “report” pubblicato sul sito ha fatto il punto sugli assegni di inclusione effettivamente erogati. Il dato è clamoroso. Infatti, sempre secondo i dati ufficiali dell’Inps, le domande accolte per l’Assegno di inclusione sono state appena 96mila, meno di un terzo rispetto alle stime del governo, che prevedeva di erogare il sussidio ad almeno 300-350mila persone. Ma c’è di più. Il fallimento della misura, infatti, è evidente soprattutto nelle regioni del Sud. In Campania, ad esempio, su una platea di 189mila persone, solo in 30mila sono riusciti a vedersi accreditato l’assegno di inclusione, in pratica uno su sei. E in Sicilia, la percentuale è addirittura inferiore: con 17mila domande accolte il rapporto sale a uno su dieci. In Calabria, gli assegni di inclusione si sono fermati a quota 10mila, più o meno lo stesso livello della Puglia.
LA FALLA NELLA NUOVA RIFORMA: IL FLOP DELL’ASSEGNO DI INCLUSIONE
Nessuno, ovviamente, intende riproporre il reddito di cittadinanza, nella sua vecchia versione. Ma è evidente che la riforma non ha conseguito i risultati previsti. Certo, dietro il fallimento dell’assegno di inclusione ci possono essere svariati motivi. Il primo è l’entità del sussidio, 350 euro al mese, con l’obbligo di seguire percorsi formativi con la speranza di trovare, poi, un’attività. Il secondo è, probabilmente, dovuto al fatto che gran parte dei giovani siano entrati nel territorio del sommerso, preferendo un lavoro nero, magari meglio retribuito che un mini-sussidio a tempo. Ma c’è, poi, un’ulteriore considerazione. Al momento mancano, ad esempio, i dati sui percorsi formativi effettivamente attivati per i disoccupati che hanno chiesto l’assegno di inclusione.
Non si conoscono né i settori né la reale portata della formazione realizzata in questi mesi. Inoltre non sono state meglio le cose per le tecnologie messe in campo. Il governo aveva puntato, infatti, sul Sistema informativo per l’inclusione sociale lavorativa, nome in codice Siisl, una piattaforma telematica che avrebbe dovuto incrociare i curriculum degli occupabili con le iniziative di politica attiva e le richieste di lavoro da parte delle aziende. Un sistema che, sulla base dei risultati messi nero su bianco dall’Inps, evidentemente non ha funzionato. A tutto danno, ovviamente, di coloro che, dopo aver perduto il reddito hanno anche abbandonato la speranza di rientrare nel mondo del lavoro attraverso i corsi di formazione. Oltre al danno, la beffa…
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