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Una vicenda che ha dell’incredibile anche considerando il fatto che la stessa accusa ne aveva rilevato l’insussistenza chiedendo l’assoluzione della protagonista, assoluzione che, però, non c’è stata.

Si tratta della vicenda di una docente che è stata denunciata e, dopo oltre quattro anni di processo, condannata dal Tribunale di Parma a un mese e 20 giorni di reclusione (con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione) per “abuso dei mezzi di correzione”.

I fatti alla base della condanna

Tutto parte quando, dopo che una collaboratrice scolastica si era lamentata delle condizioni dei bagni imbrattati di feci, la maestra protagonista della vicenda ha redarguito gli alunni.

I bambini, all’epoca, frequentavano la quinta classe di una scuola primaria di un istituto comprensivo della provincia di Parma dove la docente era stata chiamata per una supplenza.

Secondo la tesi della difesa, la donna si sarebbe limitata a richiamare gli alunni all’ordine, minacciando di rivolgersi al dirigente scolastico.

Tuttavia alcuni bambini della quinta classe della scuola primaria, invece, avrebbero raccontato in lacrime ai genitori di essere stati non solo rimproverati ma anche insultati. Da ciò ne sono conseguite le denunce

A seguito delle denunce la donna è finita a giudizio per “abuso di mezzi di correzione”, ma al termine del processo la stessa accusa ne ha chiesto l’assoluzione di fronte all’evidente irrilevanza penale della contestazione. Ma non è stato dello stesso avviso il giudice che, invece, l’ha condannata.

Il commento del sindaco Gilda

La Gilda degli Insegnanti di Parma e Piacenza, tramite il suo coordinatore Salvatore Pizzo, ha subito preso posizione auspicando che l’insegnante «scelga di ricorrere nei successivi gradi di giudizio» e aggiunge l’ulteriore auspicio «le autorità preposte non procedano solo e sempre a carico degli insegnanti, anche in questo caso pare che nessuno abbia agito per l’evidente ‘colpa in educando’ contro i genitori. La ‘colpa in educando’ è ben richiamata non solo nel Codice Civile (art. 2048), ma anche nella Costituzione (art.30). Non si è mai vista – conclude – un’amministrazione pubblica essere così reticente di fronte a fatti evidenti. Troppo comodo scaricare tutto sui docenti».


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