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Attentati in automobile o a colpi di coltello sono diventati in Germania una macabra consuetudine: è allarme sicurezza
Torna a scorrere il sangue in Germania, a Mannheim, nel Baden-Württemberg, dove ieri un’automobile è piombata sulla folla dei mercatini di Carnevale, causando due morti e dieci feriti, di cui cinque gravi. Una tragedia che si aggiunge a quelle delle ultime settimane e degli ultimi mesi, in cui attentati in automobile o a colpi di coltello sono diventati nel Paese una macabra consuetudine.
Alle 12.15 della giornata di ieri, nel clima di festività dei giorni di carnevale, molto celebrato nella regione, una Ford Fiesta si è schiantata contro un gruppo di persone in strada nel quartiere Planken, nel centro della Mannheim. Questa volta l’attentatore non è un richiedente asilo, ma un cittadino tedesco, Alexander S., quarantenne originario della Renania Palatinato. Un soggetto non precedentemente noto alle forze dell’ordine, ma con un passato di problemi psichiatrici.
Nel 2018 era stato segnalato alle autorità per aver utilizzato simboli incostituzionali legati all’estrema destra, e nell’agosto scorso era stato ricoverato dopo aver dichiarato di volersi rovesciare addosso una tanica di benzina per darsi fuoco.
Arrestato subito dopo la strage, l’uomo si è sparato in bocca con una pistola a salve; gravemente ferito, è stato portato in ospedale. Le ragioni del gesto sono ancora tutte da accertare, ma risiedono probabilmente nel disagio psichiatrico dell’attentatore. La denuncia passata per uso dei simboli nazisti potrebbe indicare una componente di estremismo politico, ma gli investigatori hanno per ora escluso tale ipotesi.
Se le ragioni del gesto di ieri sono ancora sconosciute, la certezza sta nell’orribile bilancio di attentati in Germania negli ultimi mesi. Un’inquietante scia di eventi di sangue, da autori e moventi diversi, ma con esecuzione sempre simile. E che non può che far scattare l’allarme sicurezza nel Paese.
L’attacco di ieri è già il terzo mortale del 2025. Il 13 febbraio, a Monaco di Baviera un 24enne afghano, in Germania dal 2016 ma con permesso temporaneo, si era lanciato, a bordo di una Mini, contro un corteo sindacale, uccidendo una donna e la figlia di due anni. L’attentato è stato classificato come di matrice islamista.
Pochi giorni prima, il 22 gennaio, sempre in Baviera, ad Aschaffenburg, un altro cittadino afghano, a colpi di coltello, aveva ucciso un uomo e un bambino di due anni. L’attentatore ventottenne era un paziente psichiatrico, già noto per altri atti di violenza, richiedente asilo ma con la volontà di lasciare la Germania.
Il 20 dicembre scorso, al mercatino di Natale di Magdeburgo, un’auto aveva investito, uccidendole, sei persone (tra cui un bambino di nove anni) e ferendone trecento. Al volante un medico saudita cinquantenne, in Germania dal 2006, islamofobo e simpatizzante di Alternative für Deutschland (AfD).
Il 25 agosto, tre persone erano state accoltellate a morte a Solingen, nel Nordreno-Vestfalia, in un attacco islamista condotto da un 26enne siriano.
Il 31 maggio, proprio a Mannheim, un poliziotto era stato ucciso durante un attacco con il coltello condotto da un afghano contro il movimento antiislamico Pax Europa; anche questo è stato identificato come un attentato di matrice religiosa.
Se la maggior parte di questi attacchi è stata spinta da motivazioni religiose o politiche, e dal disagio e dalla radicalizzazione dei richiedenti asilo, quello di ieri sembra sfuggire a queste logiche. «Un atto di violenza insensato» lo ha definito il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Ed è proprio questa insensatezza a spaventare. La paura è che la scia di attentati nati dalla violenza politica e religiosa abbia portato a un fenomeno di emulazione che può colpire i soggetti più fragili e ai margini della società, siano essi tedeschi con problemi psichici o immigrati poco integrati. Sono le notizie viste in Tv o sui social a dimostrare a chiunque, non solo estremisti islamici o neo-nazisti, che se si vuole uccidere possono bastare un coltello o un’automobile. Una tipologia di attacco semplice e abbastanza facile da emulare.
«Questo evento tragico, così come i terribili attacchi degli ultimi mesi, ci ricorda che dobbiamo fare tutto il possibile per prevenire tali reati. La Germania deve tornare a essere un Paese sicuro. Lavoreremo per questo con la massima determinazione» ha dichiarato Friedrich Merz, leader della CdU uscito vincitore dalle elezioni della settimana scorsa.
Come il prossimo cancelliere possa riuscirci, però, resta una grande incognita. Il programma elettorale che ha portato il suo partito a vincere le elezioni è stato improntato sull’aumento della sicurezza combattendo l’immigrazione e aumentando i rimpatri. Inseguendo l’AfD sul tema, si è posto l’obiettivo dei controlli di frontiera permanenti, dei respingimenti di tutti i tentativi di ingresso illegali, dell’aumento delle deportazioni e dei rimpatri facili.
Un piano non solo difficilmente attuabile senza violare le leggi europee e la costituzione tedesca, ma che non basta da solo ad arginare la violenza in un Paese nel quale gli attentati sembrano andare oltre l’estremismo politico e religioso. Sicuramente riuscire a espellere le «500 bombe a orologeria», come lo stesso Merz aveva definito a febbraio gli irregolari violenti o radicalizzati sul territorio tedesco noti alle forze dell’ordine, può aiutare a ridurre il pericolo.
Ma per superare la profonda polarizzazione politica (ulteriormente evidenziata dai risultati del voto) e il disagio sociale degli emarginati, serve ben altra visione. In Germania vivono oggi 17,7 milioni di persone a rischio di povertà o esclusione sociale (circa il 21,2% della popolazione), con un numero di senza fissa dimora (531.000), raddoppiato in due anni, mentre nel 2023 sono avvenuti più di 60mila crimini politicamente motivati, con quelli riconducibili all’estrema destra in crescita rispetto al 2022 del 23%, quelli antisemiti del 96% e quelli anti-islamici del 140%.
È il ritratto di una situazione insostenibile e potenzialmente pronta a esplodere. Ma questo scenario sembra al di là dell’orizzonte dell’attuale classe dirigente, impegnata principalmente a inseguire l’estrema destra sull’immigrazione, con politiche sempre più dure e toni sempre più violenti. Ricorrendo spesso alla narrativa dell’accerchiamento e della minaccia pilotata dall’esterno.
In serata, sull’attentato di Mannheim è arrivato il commento dall’Italia della premier Giorgia Meloni: «I tentativi di destabilizzare le Nazioni democratiche non prevarranno». Anche qui, la lettura sembra fuori fuoco.
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