L'attentato a Fico
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IL PRIMO ministro slovacco Robert Fico è rimasto ferito in una sparatoria dopo una riunione del governo nella città di Handlova. Lo riferisce l’agenzia di stampa Tasr, che cita il vicepresidente del Parlamento Lubos Blaha: sarebbero stati uditi quattro colpi d’arma da fuoco, uno ha colpito Robert Fico che è rimasto ferito. L’aggressore è stato fermato e l’intera area è stata evacuata. Fico viene dalla vecchia guardia. Ha iniziato la sua carriera nelle fila del Partito comunista nel 1987, poco prima che la Rivoluzione di Velluto facesse collassare l’ex Cecoslovacchia, prima della pacifica separazione dalla Repubblica Ceca. Passa per essere un populista filo putiniano e ostile all’Unione europea e alla Nato, con posizione xenofobe.
LE CONSONANZE CON ORBAN
In sostanza il profilo di Fico, ferito ieri, è quello di un ex comunista non pentito che trova conferma delle sue passate convinzioni nel populismo xenofobo e nella sudditanza alla Russia come lo fu dell’Urss. Tutti i leader europei, compresa Giorgia Meloni hanno rilasciato dichiarazioni di preoccupazione e di solidarietà, ma il più accorato è stato Viktor Orban, il quale ha voluto sottolineare l’amicizia che lo lega a Fico, ora in pericolo di morte. Quando Fico vinse le elezioni sulla base di un programma che precludeva l’invio di armi all’Ucraina, i commentatori misero in evidenza la singolarità del rapporto che lo allineava alle scelte del governo ungherese, nel senso che Fico e Orban venivano da storie politiche diverse che gli eventi avevano finito per rendere omogenee. Il premier slovacco era il leader di una formazione nazionalista di sinistra che prendeva le mosse dal vecchio partito comunista (e che ora è stato sospeso dalla famiglia dei Socialisti europei), mentre Orban era nato e cresciuto nel solco dell’opposizione all’Unione sovietica.
Negli anni Ottanta il suo partito, Fidesz, chiedeva riforme liberali ed era favorevole all’integrazione europea. Dopo la prima elezione nell’Ungheria post-comunista, ha iniziato a spostarsi a destra, dopo essere transitato anche nel Ppe. Storie distanti, e che ora si erano messe a marciare sugli stessi binari. Peraltro, la decisione di abbandonare l’Ucraina al suo destino non era piaciuta a larga parte dell’opinione pubblica slovacca, che aveva organizzato in proprio la raccolta di risorse da consegnare al governo di Kiev.
I TIMORI DELL’EUROPA
Nelle cancellerie europee .si teme una escalation della violenza, come strumento per regolare i conti in vista della situazione di guerra che sembra non trovare sbocchi. È molto problematico avanzare ipotesi con i pochi elementi a disposizione. Da quanto è filtrato, l’attentatore non ha l’aria di uno 007 o di un killer di professione: è un uomo di 71 anni. C’è molta cautela a mettere l’attentato in politica. Anche Putin evita di avanzare ipotesi che coinvolgano i suoi nemici ucraini, come ha fatto spudoratamente dopo l’attentato di Mosca. Lo zar si è limitato alle solite formalità. L’attentato al premier slovacco Robert Fico è un «crimine odioso» ha commentato Vladimir Putin in una comunicato che è stato diffuso dal Cremlino e ripreso dall’agenzia Tass. «Conosco Robert Fico come un uomo coraggioso e dallo spirito forte – ha dichiarato Putin – spero vivamente che queste qualità lo aiuteranno a resistere a questa difficile situazione».
L’ATTENZIONE DI PUTIN ALLA GEORGIA
Evidentemente l’autocrate del Cremlino dedica maggiore attenzione a quanto avviene in Georgia, nell’indifferenza sostanziale dell’opinione pubblica europea, mentre le istituzioni della Ue si sono limitate a dire, attraverso un portavoce, che «l’adozione di questa legge è un ostacolo grave nel percorso della Georgia per l’adesione all’Unione europea. La legge prevede che ong e media indipendenti che ricevono più del 20% dei loro finanziamenti da donatori stranieri dovranno registrarsi come organizzazioni «portatrici di interessi di una potenza straniera». In sostanza dovranno dichiararsi spie del nemico.
Sarebbero inoltre monitorate dal ministero della Giustizia e potrebbero essere anche costrette a condividere delle informazioni sensibili, pena multe salate. La legge approvata in via definitiva da una larga maggioranza del Parlamento ricalca di fatto un provvedimento analogo in vigore in Russia e per questo è stato ribattezzato, appunto, “legge russa”.
LE TRUPPE RUSSE AI CONFINI COME MONITO
I manifestanti georgiani – che da giorni stanno occupando le piazze a Tiblisi – temono che la legge venga utilizzata dal governo per reprimere il dissenso e affossare le speranze della Georgia di entrare nell’Unione europea. È una prassi purtroppo comune in tutti i Paesi ex satelliti dell’Urss. Se i governi locali, come in Bielorussia, riescono a stroncare l’opposizione con i propri mezzi, l’esercito russo rimane sui confini come monito di una sovranità limitata. Se, invece, come in Ucraina, la protesta si consolida, scaccia i Quisling locali e vince, scatta l’operazione militare speciale e subito si trasforma in una guerra che dura da oltre due anni. I georgiani sono avvisati.
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